Ci sono due tendenze di fondo negli sviluppi recenti delle relazioni internazionali: la fine dell’unipolarismo americano e il tramonto del multilateralismo.
Il mondo contemporaneo è sempre meno occidentale e dopo trent’anni non sembra mai essere stato così conteso.
Il 1989, col crollo del muro di Berlino e la rapida dissoluzione dell’Unione sovietica, aveva fatto pensare alla “fine della storia“. Per un trentennio abbiamo assistito a un mondo con un’unica potenza egemone nello scacchiere geopolitico globale.
L’assenza di rivali, la spinta del boom della new economy, la superiorità economica e militare avevano creato un gap, apparentemente incolmabile, tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, dove in ogni angolo il modello americano economico e politico dava l’impressione di diffondersi.
L’attacco al cuore dell’America dell’11 settembre, con i successivi interventi militari in Afghanistan e Iraq, hanno spalancato le porte a un ‘decennio breve’ di interventismo globale a stelle e strisce. L’amministrazione Bush venne costretta a rivedere i propri propositi isolazionisti in politica estera, divenendo sostenitrice di una “war on terror”, una guerra al terrorismo su scala globale per esibire tutto il potenziale bellico statunitense e scoraggiare il terrorismo jihadista. Un conflitto asimmetrico tra una superpotenza e gruppi terroristici privi di identificazione territoriale ha cercato di riaffermare la leadership mondiale della superpotenza ferita. Per dare sostanza ideologica e popolarità a questa idea, i conflitti in Afghanistan e Iraq sono stati reinterpretati secondo i canoni dell’idealismo americano: una guerra per esportare democrazia e libertà nel mondo.
“O con noi o con i terroristi”, in procinto di avviare le sue “guerre al terrore” George W. ammoniva gli alleati. La “coalizione dei volenterosi” pareva essere il naturale coronamento del modello di relazioni internazionali avviato dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, la propaggine militare di un sistema basato su trattati multilaterali, organizzazioni internazionali, ideologie e libero mercato. I decenni di pace dopo la Seconda guerra mondiale e lo sviluppo economico avrebbero dovuto costituire la maggiore ipoteca sulla durata in occidente e dell’espansione nel resto del pianeta del nuovo ordine globale americano.
Al decennio dell’interventismo ha invece fatto seguito quello del ripiego globale americano, qualcosa di simile a quanto accaduto negli anni ’70 dopo la fine della guerra in Vietnam.
L’amministrazione Obama ha avviato un ripensamento dell’azione globale della “nazione indispensabile”, poi è arrivato il ciclone Donald Trump.
Uno dei primi interventi di Trump da presidente è stato il ritiro dal TPP (Trans-Pacific Partnership), un accordo commerciale tra 12 Paesi, a cui ha fatto seguito non molto tempo dopo l’abbandono dell’accordo sul clima di Parigi da parte dell’America. Nel frattempo, la sua amministrazione ha sferrato attacchi senza precedenti contro l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Un’accusa a cui ha fatto seguito l’introduzione indiscriminata di dazi sull’acciaio e l’alluminio importati, i cui costi ricadranno soprattutto sull’Europa e sul Giappone. Un’azione economica unilaterale, preludio della guerra commerciale avviata contro Pechino.
Se le politiche economiche di Trump non bastano a testimoniare il suo tentativo nazionalista di scardinare un sistema regolamentato, la riprova definitiva è la sfida alle istituzioni multilaterali alla cui creazione e sviluppo gli Stati Uniti stessi hanno contribuito in modo fondamentale sin dal dopoguerra. Mai come ora dal 1945 istituzioni come le Nazioni Unite, la Nato e l’intero sistema della alleanze americano è parso in discussione.
Il mondo non è rimasto a guardare. Al disimpegno americano ha fatto da contraltare, l’aumento di influenza di altri due attori che si sono progressivamente elevati a superpotenze nella scena globale: Cina e Russia. Un combinato disposto che mai come oggi sembra essere in grado si scavalcare il “leviatano liberale” americano.
Indipendentemente da Trump, il multilateralismo ha iniziato a vacillare nel preciso istante in cui l’ordine internazionale diventa più multipolare. Alla distribuzione del potere nel sistema internazionale non ha però fatto seguito un maggiore ricorso ai negoziati e al dialogo. Il mondo si sta facendo multipolare, non multilaterale.
I simpatizzanti, è la nuova rubrica di Risiko che prende spunto dal romanzo, valso il premio Pulitzer 2016 a Viet Thanh Nguyen, che racconta le vicende di un ex ufficiale dell’intelligence sud vietnamita, in realtà è una spia sotto copertura dei Vietcong. Il Simpatizzante è un flashback che ripercorre i luoghi della guerra fredda nel terzo mondo, dal Vietnam alle Filippine, passando per Washington; I Simpatizzanti saranno invece una vera e propria partita di Risiko.
Da qualche tempo il mondo è tornato ad essere una plancia del popolare gioco da tavolo di strategia a turni. Tre superpotenze si stanno sfidando in un Grande Gioco, in palio c’è il mondo. Nei cinque continenti aumentano softpower e interventismo diretto cinese e russo, mentre quello americano sembra declinare. La nostra rubrica si propone di analizzare quei paesi e zone del mondo dove le forze politiche, un tempo convintamente atlantiste o filo-americane, adesso guardano a oriente.
I Simpatizzanti si propongono di analizzare il risiko globale, un carrarmatino alla volta.