«Aveva un raffreddore».
Quasi comprensibile: alla fine di quell’ottobre 1983 le temperature a Mosca erano rigide.
Quello che invece si fatica a comprendere è come mai da tre mesi non si abbiano notizie del compagno Andropov. Temutissimo capo del KGB, razionale e dalla visione strategica, dopo aver scalato tutti i gradini del Politburo, finalmente nel novembre 1982 diviene Segretario generale del Pcus, all’età di 68 anni. Il suo predecessore, Leonid Breznev, si era spento settantaseienne, dopo un decennio di saluta malferma che non gli aveva impedito di rimanere in carica 18 anni, il più longevo al poter dopo Stalin. Il più effimero sarà invece il successore del compagno Andropov, il compagno Cernenko che quando si insedia al Cremlino, nel febbraio 1984, ha 73 anni.
«Come posso trattare con loro se muoiono prima?». Ronald Reagan – che pure era coetaneo – non era particolarmente tenero con gli anziani vertici del Pcus o, come la chiamavano esperti e giornalisti, “gerontocrazia”.
La lenta agonia di Breznev che negli ultimi anni era apparso trascinarsi gonfio, assente affaticato anche nel firmare i documenti ufficiali; la meteora di Cernenko, fumatore dall’età di nove anni che lasciava l’ospedale in cui era ricoverato solo per recarsi a votare. E poi il compagno Andropov. All’avvento al potere un anno prima non era apparso al massimo della forma fisica. Smagrito, con le mani che tremavano e l’incedere incerto. A giugno è stato visto appoggiarsi a due guardie del corpo, ricevere una delegazione americana, e poi è sparito. Nessun segnale, nessuna comparsa per tutta l’ estate.
Poi, a ottobre, la rivelazione per mano di Leonid Zamjatin, portavoce del governo sovietico, che afferma in tutta serietà: «Il compagno Andopov ha il raffreddore». Grave, perché il 7 novembre il leader dell’Urss non partecipa alla tradizionale parata sulla piazza Rossa, un fatto senza precedenti. Di lui non si seppe né si disse più nulla fino al 9 febbraio 1984, quando ne fu annunciata la morte. Non per raffreddore, ma per insufficienza renale, come poi si seppe da fonti non ufficiali.
In Russia la scomparsa del leader è spesso un caso di stato.
Morto Stalin se ne fa un altro – traduzione dall’inglese di The Death of Stalin – è un film del 2017 del regista scozzese Armando Iannucci, che ricostruisce in chiave comica – non priva di attendibilità storica – le ultime ore del dittatore e la gestione grottesca da aperte dei vertici del partito dell’annuncio della morte, rivelato al mondo solamente quattro giorni dopo e in maniera curiosa in Italia.
Non solamente nella Russia d’epoca sovietica capitava che i leader scomparissero per giorni. Nel 2015, Valdimir Putin non è apparso in pubblico per 10 giorni, dando adito a speculazioni di diverso genere sulle motivazioni: dal possibile parto della sua giovane amante, alla sua deposizione con un colpo di Stato, fino a un intervento di chirurgia plastica e alla morte. «È noioso senza pettegolezzi», aveva commentato dopo essere tornato agli impegni pubblici il presidente che ha rivelato la presenza di un piano segreto, in passato, per usare una controfigura che lo impersonasse nelle apparizioni pubbliche, ma ha anche tenuto a sottolineare di averlo vietato, garantendo di essere solo lui il vero Putin in carne ed ossa.
Un’assenza temporanea del leader che ha caratterizzato, in tempi più recenti e gravi, anche la confinante Cina. Col paese alle prese con la diffusione del Coronavirus, dal 28 gennaio al 6 febbraio i media del mondo si sono chiesti dove fosse Xi Jiping. Il leader al potere dal 2012 che ha accentrato e modificato l’ordinamento del paese e dato vita a un culto della personalità secondo o pari soltanto al caro leader Mao, non è apparso in pubblico per un’intera settimana. Si è limitato a gestire con “mano invisibile” la crisi, salvo poi ricomparire a Wuhan il 10 marzo.
Xi Jinping è il più importante leader globale a non essere apparso in pubblico per un periodo prolungato in pubblico durante la pandemia, ma non l’unico.
Il presidente del Camerun, Paul Biya, è ricomparso in pubblico il 17 aprile, dopo settimane di assenza. Il Cameroun è uno dei paesi africano più colpiti dal Covid-19 e, dopo i primi casi, nella speranza di ottenere chiarimenti i cittadini avevano dato vita a una campagna di protesta sui social. Richieste rimaste inascoltate da parte del presidenti al secondo posto tra i leader in carica da più tempo nel mondo: è salito al potere 44 anni fa, nel 1975 come primo Ministro e dal 1982 come Presidente della Repubblica. In quasi mezzo secolo di potere ha abituato a scomparire dai radar per lunghi periodi, come quando nel 2009 si è concesso una vacanza nel sud della Francia costata 40 mila dollari al giorno.
«Come ogni altro lavoratore, il presidente Paul Biya ha diritto alle sue vacanze» ha detto il ministro dell’informazione Issa Tchiroma Bakary.
La storia del Continente Nero è pieno di leader che spariscono senza lasciare traccia per lunghi periodi, meno di un anno fa se n’è andato il campione indiscusso dell’arte della sparizione: stanchi di anni di congetture sulla sua salute, in Zimbabwe giornali e partiti di opposizioni avevano cominciato a tracciare coi radar gli spostamenti aerei di Robert Mugabe.
Il giorno prima di Biya è ricomparso anche Daniel Ortega, il presidente del Nicaragua che non appariva in pubblico dal 12 marzo senza aver dato notizie. Il 74enne, ex guerrigliero sandinista che soffre di diversi problemi di salute, è presidente in carica dal 2007 dopo aver vinto quattro elezioni – l’ultima col 72% dei voti, con l’opposizione che ha denunciato brogli e l’impedimento agli osservatori internazionali di monitorare il voto. E’ ricomparso in pubblico dopo più di un mese, senza accennare alle cause della sua assenza ma imitandosi a lodare il successo del Nicaragua nel contenere il virus.
La recente sparizione e ricomparsa per due intere settimane di Kim Jong Un non è dunque un’eccezione, nemmeno per la storia recente della Corea del Nord. A destare particolare preoccupazione era stata l’assenza di Kim, lo scorso 15 aprile, alla parata in occasione della festa nazionale che celebra la nascita di suo nonno Kim Il Sung, fondatore della nazione su cui non mancano aloni di mistero riguardo a sparizioni. Come quando nel 1986, otto anni prima del suo comprovato decesso, venne dichiarato morto dai quotidiani sudcoreani. Tra il 16 e il 18 novembre iniziarono a circolare reapporti sulla sua presunta morte, che Chosun Ilbo, il principale quotidiano sudocreano pubblicò in un’edizione straordinaria il 17 novembre – un lunedì in cui i giornali di solito non pubblicavano – intitolata “Kim Il Sung shot dead” seguita il giorno dopo da sette pagine di descrizione dell’omicidio del leader della potenza rivale. Poche ore dopo Kim è apparso vivo e vegeto in un aeroporto di Pyongyang, per salutare una delegazione mongola in visita. Chosun non ha mai pubblicato una correzione, ma si è scusato formalmente per la storia il mese scorso, in occasione del centenario della sua fondazione.
Anche Kim Jong Il, il padre solitario dell’attuale sovrano, è stato oggetto di innumerevoli notizie e voci sulla sua scomparsa. Nel 2004, una massiccia esplosione in una stazione ferroviaria nordcoreana al confine con la Cina ha ispirato voci di un tentativo di omicidio, ma un collegamento con il viaggio del leader non è mai stato confermato. Le dicerie sulla sua morte dopo un ictus che lo aveva colpito nel 2008 sono diventate così frequenti da spingere il regolatore finanziario della Corea del Sud a indagare se le voci si stavano diffondendo deliberatamente per manipolare i mercati azionari. L’effettiva morte di Kim Jong Il nel 2011 è stata annunciata al mondo esterno dai media statali con due giorni di ritardo.
Quelli trapelati nelle ultime settimane non sono i primi rapporti contrastanti sullo stato di salute aggravato o sul decesso del terzo e attuale Kim al potere. Nel 2014, è scomparso per quasi sei settimane prima di riapparire con un bastone. Il 3 settembre di sei anni fa era apparso in un concerto a Pyongyang per poi scomparire dalla vista del mondo, non riapparendo fino al 14 ottobre. La sua prolungata e inspiegabile assenza aveva suscitato un intenso interesse sulla sua posizione, il suo stato di salute e nella stabilità del regime.
Secondo gli esperti, il fatto di essere un fumatore incallito, fortemente obeso e con altri problemi di salute, negli anni a venire faranno aumentare sempre più indiscrezioni sullo stato di salute del leader nordcoreano. Nel frattempo, il terzo e attuale Kim al potere porta avanti la tradizione familiare di resurrezioni mediatiche. E’ proprio il caso di dirlo, KIM non muore si rivede.