A cura di Francesco Chirico
Acqua, neve e ghiaccio, un mondo al contrario
Tutti noi siamo cresciuti dando per scontato che il ghiaccio si forma sulla superficie dei laghi, gli iceberg galleggiano e le nevicate sono bianche, soffici e poetiche. Tutto questo non potrebbe accadere se l’acqua non avesse le proprietà che ha, uniche nel suo genere. Se invece che acqua piovesse ferro per esempio, tutto sarebbe diverso, ma fortunatamente non viviamo su Wasp-76b.
Quasi tutte le sostanze terrestri sono tanto più dense quanto più sono fredde, e con il calore si dilatano. L’acqua invece, ha un andamento tutto suo.
Il punto di massima densità dell’acqua è 4°C, e non è un caso che sul fondo dei mari l’acqua sia proprio a questa temperatura. Qualunque altra sostanza, sotto una pressione così elevata diventerebbe solida, e il fondo dei mari e dei laghi non ospiterebbe tutta la flora e la fauna che conosciamo.
L’altro aspetto fondamentale è la protezione che l’acqua fornisce in periodi freddi: che sia in forma di neve o di ghiaccio, molti ecosistemi non riuscirebbero a superare l’inverno in sua assenza. Quando i laghi diventano grandi piste di pattinaggio, al loro interno la vita continua, e continua senza scendere sotto gli 0°C. Se il ghiaccio fosse più pesante dell’acqua, i laghi inizierebbe a ghiacciare dal fondale, e presto piante e pesci rimarrebbero ghiacciati fino a primavera.
A quote più alte invece, la neve protegge la vegetazione che, secca, non riuscirebbe a resistere al forte vento, e alla nuova stagione ci sarebbe solo terra brulla. Non è solo agli impianti da sci quindi, che servirebbe la neve artificiale nei prossimi anni..
I 37 nomi della neve
Nessuna ha dubbi, eppure, si dice che gli Eschimesi abbiano una quantità enorme di parole per definire la neve. Sembra assurdo, ma quando si inizia a frequentare l’ambiente montano invernale, ci si inizia ad accorgere che la neve non è sempre uguale. Ogni tanto il piede sprofonda, ogni tanto no. Ogni tanto sembra farina, sorprendentemente asciutta, per quanto sempre di acqua si tratti. Altre volte è fradicia, la si può strizzare. Con un minimo di esperienza, gli scialpinisti ed i freerider imparano a individuare i tratti di neve migliori da sciare, quelli magari dove il vento non ha costruito duri lastroni in superficie.
Questo occhio si sviluppa per il puro divertimento, e per evitare zone pericolose, anche. C’è anche chi non si ferma alla superficie, però: chi emette il bollettino valanghe esce ogni mattina, e scava una buca, finché non raggiunge il suolo. Con tutto il profilo del manto nevoso davanti agli occhi, la neve ci mostra la cronologia dell’intera stagione invernale, dai primi fiocchi fino ad oggi. Ogni strato è una nevicata diversa, e ha una storia tutta sua.
Le differenze iniziano in cielo, durante la nevicata. A seconda delle condizioni di umidità, vento, pressione e temperatura, la neve assume la forma di piastre, colonne, sferette, o il tipico fiocco di neve (dendriti). Durante la discesa verso terra continua a cambiare, e una volta posatosi sul manto nevoso, se non si tratta della prima nevicata, inizia legarsi con gli altri grani di neve, formando un unico grande lenzuolo bianco. Al suo interno, quando ci sono le condizioni di metamorfismo distruttivo, i grani di neve si legano tra di loro. Questo accade tipicamente con una buona oscillazione termica tra giorno e notte, con temperature miti diurne. Al contrario, con temperature dell’aria molto fredde, i grani crescono, seguendo la geometria esagonale, formando costruzioni molto caratteristiche. Qui la coesione tra i grani è molto bassa, e uno strato del genere può essere facilmente lo strato di slittamento di una valanga.
Non ultimo, il vento gioca un ruolo fondamentale in questo processo, e viene infatti chiamato “il costruttore di valanghe”. I lastroni che crea e la neve rimodellata dalla sua forza sono tra le trappole più insidiose nella veste invernale delle montagne.
Non ci si può più fidare
Il manto nevoso cambia, sempre. Cambia nel tempo e nello spazio. Con i cicli di caldo e freddo, e con il vento, il manto diventa più o meno stabile. A seconda del versante su cui si posa la neve, questa si trasforma in maniera diversa, e il vento ne modella le forme costruendo cornici, lastroni, sastrugi.. Andando a guardare più nel dettaglio, la neve cambia se sotto di essa ci sono torrenti, arbusti, cambi di pendenza e tanto altro. È anche per questo che i modelli matematici anche più accurati, funzionano abbastanza bene su larga scala, ma sono assolutamente inaffidabili se si indagano le piccole aree.
L’occhio umano la fa ancora da padrona quando si prevede l’evoluzione della neve e il pericolo valanghe, redatto ogni giorno dalle autorità competenti. Anni e anni di osservazione del manto nevoso e della sua evoluzione hanno fatto sì che i previsori affinassero la loro tecnica. Un occhio esperto riesce a dirci molto anche solo guardandosi intorno e osservando le forme ed i colori della neve.
Negli ultimi anni però, molte di queste regole sono venute meno. In inverno si vedono valanghe tipicamente primaverili, come successo a inizio stagione 2019/20. In aprile si possono verificare nevicate abbondanti ed asciutte, rompendo il classico andamento di assestamento e fusione tipico della stagione finale del manto nevoso alpino.
Uno degli ultimi disastri è successo a Rigopiano, in Abruzzo: la nevicata che ha preceduto l’evento è stata molto abbondante (circa un metro e mezzo) e molto asciutta, caratteristica più alpina che appenninica.
Questa nevicata non è di sicuro nella media delle nevicate abruzzesi, è più vicina ad essere classificata come evento estremo. Ci sono due particolarità riguardo a questi eventi eccezionali: sono molto rari, ma stanno aumentando con il Climate Change.
Il fatto che siano molto rari si traduce in un tempo di ritorno molto alto, significa che, in media, un evento di questo genere si verifica dopo molti anni dal precedente. Ci sono valanghe, come anche piene fluviali o uragani, che hanno un tempo di ritorno di 500 anni. Questo non vuol dire che non possono verificarsi due eventi del genere a distanza di un anno, ma che la probabilità che succeda è molto bassa. L’aspetto fondamentale di questa variabile è comprendere come non ci si possa basare solamente sulla memoria umana, ma è necessario redigere un catasto valanghe molto accurato, cosa che in Italia non si è ancora fatto, o almeno non bene come si dovrebbe. Al momento, ci basiamo ancora su concetti del tipo “è da quando il mio bisnonno è piccolo che non ci sono valanghe su questo versante”, e poi si è visto cosa succede.