Disclaimer: ho lavorato alla traduzione in italiano di Ministry of Broadcast.
Aprire questo articolo/recensione con una citazione di 1984 sarebbe di una banalità che Ministry of Broadcast non merita. Per quanto il capolavoro di Orwell sia chiaramente l’ispirazione principale, c’è ben di più al suo interno di una denuncia dei regimi totalitari. Siamo dentro a una storia trasognata, che mescola realtà, finzione e videogioco stesso, in cui è difficile dire se una morte è scritta nel copione, vera o semplicemente un blocco di pixel eliminato con una linea di codice. Il tutto in un mondo di gente incollata alla TV, dove lo schermo regna sovrano e le telecamere sono ovunque. L’intrattenimento elevato a religione di stato, e una popolazione – mai vista, solo menzionata – che prega come se non ci fosse un domani.
Una influenza Huxleyana, quindi? Non esattamente. Al centro della scena non c’è l’edonismo e il piacere usato per controllare la popolazione, ma un programma televisivo – il The Wall Show – che sfrutta l’elemento principale dello stato in cui è ambientata la storia: un muro gigantesco, pensato per dividere le persone in “Trasmittenti” e “Riceventi”. A differenza del vecchio sogno malamente pensato e realizzato di Trump, però, il muro non divide due nazioni ma due parti della stessa. Un mondo più vicino alla Corea del Nord, quindi, con un protagonista la cui famiglia si trova dall’altro lato del muro. L’unico modo per oltrepassarlo: vincere il Wall Show a qualunque costo e garantirsi l’approvazione del regime, assieme a un permesso speciale per il viaggio.
A questo punto il conflitto interno del protagonista è abbastanza ovvio, forse anche banale: cosa è disposto a fare per poter rivedere la sua famiglia? E se le domande poste dalla trama si fermassero qui, non ci sarebbe un vero motivo di parlarne – sarebbe un gioco interessante, ma non particolarmente notevole. La domanda che pone il gioco è invece più subdola: cosa sei disposto a fare per persuaderti che tutto quello che sta succedendo è solo uno spettacolo? È più facile giustificare le proprie scelte quando stai solo seguendo ordini? E sei sicuro che quella voglia di fuggire venga proprio dal tuo cervello?
Prima di continuare, si: questo gioco è un platform retro, uno di quei titoli estremamente vecchio stile dalla risoluzione bassissima. Ispirato dichiaratamente a Prince of Persia (il storico, del 1989) e ad altri capolavori del genere, è un gioco “scomodo”, in cui il personaggio è difficile da controllare. Questa scelta è intenzionale: l’obiettivo è ottenere la padronanza del sistema di movimento, che permette di saltare, aggrapparsi, calarsi lungo gli orli delle piattaforme e altre azioni contestuali. Non è un gioco adatto a chi cerca le soddisfazioni facili, visto il gameplay molto scarno e basato sul morire ripetutamente per capire come risolvere puzzle e sezioni, ed è quindi sconsigliato a chi non è dotato di pazienza e di un apprezzamento per la storia del genere. Se ti interessa specificatamente il lato meccanico, ti rimandiamo alla recensione di SpazioGames per una disamina più elaborata delle sue caratteristiche “alla mano”.
I ragazzi di Ministry of Broadcast Studio non brilleranno certo per originalità nella scelta dei nomi, ma offrono altre caratteristiche che fanno rizzare le orecchie. Innanzitutto lo studio è basato nella Repubblica Ceca, e la differenza culturale è forse la cosa più interessante. Ora, non sono un esperto dell’est Europa personalmente, ma stando a una persona polacca che ho interpellato per l’occasione pare che l’umorismo ceco non è roba da ridere. È difficile capire cosa sia una battuta, cosa sia una constatazione, cosa sia una dichiarazione di qualcosa di orrendamente violento – e in un mondo in cui non sai se i morti sono morti davvero o stanno solamente recitando una parte, l’effetto è assolutamente straniante.
Questa atmosfera surreale permea tutto il gioco, dai suoi corvi parlanti alle allucinazioni alle rotture della quarta parete – svariate volte, penetrando lo schermo della trasmissione e la finzione di un videogioco, fino ad arrivare a un punto in cui è difficile capire cosa esattamente sia la “realtà” all’interno della narrazione. Non siamo davanti a qualcosa di terribilmente serio, però – Ministry of Broadcast sa ridere dell’assurdità delle sue situazioni, stemperando una trama molto ambigua con un umorismo tutto suo e difficile da definire. È un atto di equilibrismo difficile da realizzare, evitare che il tono della narrazione penda troppo sul serio o troppo sul demenziale, ma il gioco raramente sfonda nel cinismo totale o in quel tipo di umorismo che rende difficile immedesimarsi nei personaggi.
Che è quello che vuole il pubblico a casa, no? Qualcuno con cui identificarsi, qualcuno per cui tifare, che non li faccia deprimere troppo ma che non sia nemmeno una macchietta. Panem et circenses, desideri di fuga e un finale – o meglio finali, di cui uno particolarmente ostico da sbloccare – che pone più domande di quante ne risolva. Frustrante? Si, a volte. Soddisfacente? Difficile da dire e dipende dal tipo di giocatore. Interessante? Quello assolutamente si. Non raccomandato a tutti, ma chi ha un’anima retro e chi è disposto a scavare all’interno delle storie troverà pane per i suoi denti.