Come nel più classico dei contrappassi danteschi, la città che aveva addirittura lanciato lo slogan imbruttito #Milanononsiferma è costretta allo stop. Le scene di queste ultime ore di libertà prima del definitivo lock down, non sono altro che il frutto più maturo dell’individualismo progressista che la città ha deciso di abbracciare come unico idolo incontrastato. Nessun senso della comunità, nessun altruismo. Un peccato di hybris di una città che gioca a fare la Polis, salvo rendersi conto della sua debolezza di fronte a un nemico invisibile, ma che al medesimo tempo fa paura come e quanto l’esercito persiano. A perfetta dimostrazione di ciò, un sindaco che ha toppato qualsiasi comunicazione nelle ultime due settimane e nonostante ciò risulta incapace di recitare un mea culpa, dopo aver contribuito lui in primis, con i suoi errori marchiani, a peggiorare la situazione. Qualche giorno fa, sulla sua pagina Instagram ha scritto: “Sono lontanissimo dalla visione politico-sociale di Houellebecq. Ma alla fine non mi perdo un suo libro…”
Li avesse anche capiti, oltre ad averli letti, staremmo sicuramente parlando d’altro.
Spiegare l’intera opera di Michel Houellebecq – per chi volesse esiste addirittura una collezione in lingua italiana in tre volumi edita da Bompiani – in un breve articolo è impossibile. Difficile non ritenerlo l’autore europeo più influente degli ultimi vent’anni e, come tutti gli autori sovraesposti, anch’egli presta il fianco a innumerevoli chiavi di lettura. Negli anni hanno fatto scalpore quelle che ormai potremmo definire le previsioni à la Houellebecq, quasi che l’ombra sinistra dell’autore francese faccia capolino poco prima di un qualche evento nefasto per la storia dell’Occidente. L’ultima in ordine temporale è il monito sulla cristianità come unica ancora di salvezza per l’Occidente, ripetuto poche ore prima che la Cattedrale di Notre Dame prendesse fuoco. Oppure l’attentato islamico che uccide Valerie in Piattaforma che anticipa di qualche mese l’11 settembre. Ciò ha contribuito a raccontare lo scrittore come un Nostradamus del XXI secolo, portando spesso la discussione intorno alla sua opera sui binari sbagliati (ma che certamente, in parte, ha contribuito ad aumentarne la fama). Già, perché in Serotonina non anticipa in alcun modo i gillet gialli: qualora si volesse cercare un difficile parallelismo con la nostra attualità, la rivolta degli agricoltori normanni contenuta nel romanzo è molto simile alla breve e tragicomica ribellione dei pastori sardi avvenuta realmente poco più di un anno fa. Così come il Michel Houellebecq di Sottomissione non delinea la minaccia di un islam radicale, nonostante la data di uscita del romanzo in Francia coincida, ironia della sorte, con la strage di Charlie Hebdo.
Ma è proprio su Sottomissione, e sul suo significato più autentico, che è lecito soffermarsi per comprendere l’attualità odierna. Il romanzo è probabilmente uno dei migliori dell’autore, capace – dopo qualche passaggio editoriale a vuoto – di riportarci ai fasti dei suoi due capolavori iniziali: Estensione del dominio della lotta e Le particelle elementari. L’intreccio è semplice, come tutti i romanzi houellebecquiani direbbero i suoi critici più accaniti. L’autore francese delinea un futuro distopico ma allo stesso tempo molto vicino, le elezioni presidenziali francesi del 2022. Al ballottaggio si presentano Marine Le Pen con il suo Front Nationale e Mohammed Ben Abbes, leader del neonato partito politico Fratellanza musulmana. Grazie all’appoggio di socialisti e moderati, il leader musulmano sconfigge la rivale e diventa il nuovo presidente francese, instaurando poco a poco un governo islamico moderato sul territorio dell’Hexagone. Come ha più volte dichiarato l’autore, nel romanzo non c’è un feroce attacco all’universo islamico – per quello c’era stato il già citato Piattaforma – quanto una intelligente e ironica provocazione al mondo occidentale. E, banale sottolinearlo, questa è la summa principale del pensiero di Michel Houellebecq.
Leggendo tra le righe di ogni suo romanzo (consiglierei sempre di cominciare dal primo, esaustivo, Estensione del dominio della lotta) lo scrittore lancia un semplice avvertimento: qualora arrivasse un nemico esterno, la civiltà occidentale non ha armi per difendersi, per il semplice fatto che è disunita, sconnessa, incapace di formare una comunità. E le grandi città (la sua Parigi può essere benissimo Londra o, voilà, Milano) rappresentano l’esempio perfetto. Abitate da individui solitari, cupi, tristi, anaffettivi, nichilisti, e perciò incapaci di avere una fede comune che li possa tenere uniti nel momento del bisogno. Si potrebbe dire che Michel Houellebecq invidi l’universo islamico e la conseguente capacità di mantenere saldi principi e fedi religiose capaci, in primo luogo, di creare una comunità solidale. D’altronde questa è l’idea della religione come funzione sociale più volte espressa da Auguste Comte, capostipite del positivismo nonché protagonista invisibile di tutta la narrazione de Le particelle elementari, il romanzo che ha presentato Michel Houellebecq alla Francia e al mondo intero.
In queste ore il nemico che si sta presentando di fronte all’Occidente non è il terrorismo islamico, ma un virus invisibile di cui, nonostante gli enormi mezzi scientifici a disposizione, conosciamo ben poco. E la reazione al nemico è stata proprio quella che avrebbe potuto profetizzare lo scrittore francese: confusionaria, individualista, codarda. Se una comunità si forma e cresce grazie al susseguirsi di rituali collettivi, perché mai una grande metropoli contemporanea dovrebbe formare una comunità? Per quale motivo il Black friday dovrebbe sostituire rituali collettivi secolari? Il coronavirus non fa paura per il suo tasso di mortalità, l’Occidente non scomparirà per questo. Ma attenzione a ciò che scrisse Arnold Toynbee, citato proprio da Houellebecq in Sottomissione. “Le civiltà crescono e sviluppano in risposta a determinate sfide che la natura pone loro davanti”. Per questo una civiltà non muore a causa di un nemico esterno, per un assassinio, quanto piuttosto per un lungo processo di suicidio collettivo. Il Covid-19 non ci ucciderà, ma ha il merito di mostrare tutte le nostre debolezze, le nostre problematiche, le falle del nostro sistema sociale ed economico.
L’opera dell’uomo si mostra per ciò che è realmente e concretamente, un qualcosa di impotente e imbelle di fronte alla natura. E qui non c’è nessuna strizzata d’occhio all’ecologismo contemporaneo, impossibile da uno che ha scritto di odiare Parigi: « quella città ammorbata da borghesi eco-responsabili mi ripugnava, può darsi che fossi un borghese anch’io ma non ero eco-responsabile, andavo in giro con un 4×4 diesel — forse non avevo combinato granché di buono nella vita ma almeno avrei contribuito a distruggere il pianeta.» C’è solamente l’intenzione di mostrare l’uomo contemporaneo (e la sua opera) in tutta la sua interezza. Verrebbero da utilizzare le parole usate per descrivere l’enigmatica opera dell’artista visionario Jed Martin, portata a termine dopo oltre un ventennio di isolamento volontario: “Il trionfo della vegetazione è totale”1
1 Explicit di La carta e il territorio Michel Houellebecq, 2010. A mio modestissimo parere il più grande romanzo del XXI secolo.