A cura di Francesco Chirico
Cosa saranno mai 2°C in più su tutto il globo? Potremmo anche abbassare di una tacca il riscaldamento a casa..
Il termine “riscaldamento globale” è riduttivo per descrivere cosa sta succedendo al pianeta blu, per questo si è coniata l’espressione “Climate Change“. È vero che in media, su tutto il mondo, su tutto l’anno, stiamo andando verso 2°C di aumento di temperatura, ma non è tutto qui. Alla base di tutto ci sono le forzanti climatiche che accentuano l’effetto serra e, come feedback positivo (ne abbiamo parlato in L’autocontrollo del pianeta), fanno aumentare la temperatura. Questo genera una serie potenzialmente infinita di effetti a catena. Nell’ambito del clima, i tempi sono piuttosto lunghi, si parla di ere, quindi periodi che l’uomo non è in grado di percepire. Ultimamente invece, si parla di decenni, addirittura di anni. Gli scenari climatici dell’IPCC (International Panel on Climate Change) sono tipicamente tarati sul 2100, anno che la nuova generazione Z vede come molto vicino. Negli scenari c’è sia la temperatura media, che l’aumento degli eventi estremi, due cose diverse, ma strettamente collegate.
Meteo e clima
Si usano spesso una al posto dell’altra, ma meteo e clima non sono la stessa cosa: meteo è nel breve termine, clima sul lungo periodo. È per questo che non dobbiamo confondere fenomeni localizzati nel tempo con il trend climatico globale, cosa che succede spesso a Trump e simili.
Il fatto che globalmente la temperatura stia salendo non impedisce eventi di freddo estremo, o grandi nevicate, anzi, le amplifica. Possiamo però vedere effetti del cambiamento climatico direttamente sulla meteorologia di tutti i giorni. Il fenomeno più evidente è costituito dalle ondate di calore, che stanno rapidamente aumentando, e ce ne accorgiamo ogni estate. Di pari passo vanno i periodi di estrema siccità, che creano non pochi danni alla popolazione, dato che l’acqua è più rara da trovare di un buon ventilatore.
In altri momenti invece l’acqua abbonda, anche troppo. Acquazzoni molto violenti, piene fluviali, uragani. In media siccità e acquazzoni sembra che si compensino, invece portano il doppio dei danni. Anche se il clima si può osservare solo nel lungo periodo, gli scienziati stanno già collezionando i primi dati. Rispetto a 40 anni fa per esempio, l’atmosfera contiene il 4% in più di vapore acqueo, a causa dell’incremento di temperatura, come lo zucchero che si scioglie meglio nel caffè se questo è caldo. Questo aumenta la portata delle precipitazioni, la cui circolazione sta cambiando, a causa del mutare della temperatura superficiale dei mari (SST – Sea Surface Temperature).
Il costo dell’attesa
Tutto questo parlare di clima sembra essere orfano del capitalismo, invece gli eventi estremi causano danni economici, e il mondo se ne sta accorgendo.
Quando i danni sono in forma economica, il mondo inizia a produrre soluzioni ed investire nella ricerca. Si tratta solo di stare attenti alla distinzione tra ricerca e Green Washing: le grandi aziende che investono qualche spicciolo solo per poter dire che loro sono bio, eco e green, lo fanno solo per marketing. Oggi, le aziende stanno iniziando ad investire perché hanno capito che se non spendono ora in ricerca, ne spenderanno di più per riparare i danni.
All’inizio delle COP (Conference of Parties) è stato sollevata proprio questa questione: dove mettiamo il limite? Quando dobbiamo iniziare a preoccuparci? Una delle proposte era di fissare tale soglia quando i costi per riparare i danni avrebbero superato i costi di prevenzione per evitare i danni. Ormai, la soglia è superata, e non di poco. Il recente report del WEF (World Economic Forum) precisa che basterebbero 36 miliardi di dollari (nuovi investimenti, si intende) per la tutela del clima. Sembra ironico dire che bastano 36 miliardi di dollari, come se fosse poco.. È poco se paragonato ai 160 miliardi di dollari di danni che il Climate Change ha causato nel mondo solo nel 2012.
I danni costano, e adesso che iniziano a svuotare i portafogli, vengono censiti e controllati, è il caso degli uragani per esempio, che il CCES (Center for Climate and Energy Solutions) censisce minuziosamente. Basta leggere la prima riga per scoraggiarsi: Uragano Katrina, 166 miliardi di dollari, 1883 decessi.
Continuiamo a dire che è tardi, è tardi, è tardi.. Ma i danni arrivano ora, non 20 anni fa. Eppure, qualcuno aveva trovato la soluzione, semplice ed efficace. La Svezia ha sprecato poco tempo a parlare e nel 1991 introdusse la Carbon Tax pari a 24€ per tonnellata, per farle raggiungere il valore di 110€ nel 2019. Contro ogni previsione dei commercianti, che prevedevano un crollo economico dell’intero sistema, dal 1991 al 2019 le emissioni di gas serra sono diminuite del 26% e nel frattempo il PIL aumentava del 76%.
La Carbon Tax non è l’unico metodo, si possono utilizzare anche metodi che prevedono incentivi al posto delle tasse (il Cap and Trade ne è un esempio), ma il trucco di monetizzare le emissioni di CO2 rimane uno degli strumenti migliori per spronare il mondo verso soluzioni innovative e a basso impatto ambientale, prima che sia troppo tardi. Smith già aveva raffigurato con la metafora della Mano Invisibile la regolazione del mercato grazie all’egoismo del singolo, e anche in questo caso, non va molto lontano dalla realtà.Si iniziano a vedere investimenti più grossi dei soliti Green Washing, come il recente investimento di 10 miliardi di dollari da parte di Amazon, che non è sufficiente, ma potrebbe essere una buona base di partenza.