La premessa è che sono di parte. Ritengo Paolo Sorrentino, oltre che un regista sublime, un individuo con cui ho la presunzione di condividere sensibilità ed estetica. Per scarsità di competenze tecniche, riguardo al suo The New Pope – appena giunto al finale di stagione – mi limito ad aggettivare come “magistrale” la fotografia, come “strepitosa” la sceneggiatura, rigorosamente scritta a quattro mani, come “deliziose” le scelte musicali e come “impeccabile” il montaggio. Vorrei soffermarmi poco sulla trama, da sempre considerata dallo stesso regista «figlia di un dio artistico minore».
Proviamo invece a soffermarci su una vecchia abitudine, forse un vizio, del maestro: proporre al pubblico due tipi di personaggio, uno con caratteristiche molto simili alle sue e un altro con attitudini da lui se non invidiate, quanto meno considerate molto utili nella vita. Si pensi infatti a L’uomo in più dove il Tony Pisapia interpretato da Andrea Renzi, aspirante allenatore di calcio, umile, riservato e appassionato si contrappone al cinico, disinvolto e carismatico Tony Pagoda di Servillo. E così questo schema si ripete altre volte: il suo Divo Andreotti, con un’indole forse addirittura invidiata dal regista, contro Cheyenne, la lenta, indolente e triste ex stella della musica ormai dimenticata dal mondo di This must be the place. Poi c’è Jep, con tutta la malinconia, il disincanto, la delusione del viaggio alla riscoperta della sua sensibilità. E infine il Jimmy Tree interpretato da Paul Dano, che in Youth – La Giovinezza decide di raccontare il desiderio e rifiuta l’orrore, riconoscendo che nessuno si sente all’altezza di fare il genitore e che la leggerezza è spesso un pesante fardello. Gli ultimi due assomigliano molto al regista e lo capiamo sia dall’intimità che è solito mettere nei suoi film sia, più pragmaticamente, dalle parole che spende durante le interviste.
Con i suoi Due papi la contrapposizione viene portata all’estremo. Il giovane contrapposto al vecchio – paradossalmente chiamato “new” – sport e pigrizia, Stati Uniti e Inghilterra, orfanotrofio e reggia, figlio unico e gemello, Coca-Cola Cherry 0 e Gin Tonic, sigarette spocchiose e vergogna da eroina, rinascita e omicidio, durezza e fragilità, Lenny dà ordini a Dio e Dio esegue, John ritiene di non piacere a Dio. Sorrentino sembra donare allo Young Pope alcune caratteristiche che sembra ammirare ma che considera distantissime da se stesso. Lenny è sicuro di sé, ambizioso ai limiti della vanagloria, apparentemente imperturbabile e soprattutto non teme mai niente e nessuno. Desidera lasciare il segno nella storia della Chiesa più di ogni altra cosa e a qualunque costo.
Di contro, il nuovo-vecchio Papa condivide col regista molte caratteristiche, prima fra tutte la fragilità, concetto chiave dell’intera serie di cui lo stesso Sorrentino non ha mai fatto mistero. Sir John è timoroso, indolente, tormentato, nutre una scarsa autostima e appare completamente disinteressato dal suo essere «come la porcellana: bellissimo, smaltato e forgiato da grandi artisti» anche se appunto fragile.
Si delinea quindi la principale delle differenze tra i due papi: Pio XIII, che punta ad avere quanto più potere possibile per attuare la propra rivoluzione, sceglie come via per consolidare la propria influenza e la propria immagine quella di non rivelarsi al mondo perché «l’assenza è presenza». Dall’altra parte, Giovanni Paolo III non può che compiere la scelta opposta, esaudendo come in un paradosso la sua più grande aspirazione essere dimenticato per sempre, diventando uno degli uomini più potenti e noti al mondo e mettendosi quanto più in vetrina possibile.
Di fronte alla rivoluzione è evidente come i due papi, così distanti, in realtà si completino: Belardo che la cerca senza trovarla, Brannox che la rifugge. Ed è cosi che, di fronte ad un suo mito personale, Sharon Stone che nei panni di se stessa gli domanda quando la Chiesa riconoscerà le unioni omosessuali, risponde: «quando la Chiesa avrà un Papa rivoluzionario, risoluto e coraggioso, e io non possiedo nessuna di queste prerogative». Giovanni Paolo III effettivamente non corrisponde a questo identikit, Pio XIII sì.
Sir John quindi, riconoscendo forse proprio grazie alle parole dell’attrice, che «il male è la conseguenza della distorsione dell’amore» e che riallinearlo deve essere la missione della Chiesa, indica la via che solo Lenny potrà perseguire: portarla a riconoscere ogni forma di amore all’esterno e al suo interno. Il Papa fragile può quindi lasciare il posto a quello «rivoluzionario, coraggioso e risoluto», in un passaggio di consegna sorprendente. L’uno di fronte all’altro si invertono i ruoli – al pari dell’inquadratura che si capovolge – con il papa fragile che sottomette il papa risoluto che a sua volta non può che prostrarsi – in perfetta coerenza con la sensibilità del regista napoletano – dinanzi all’assoluta supremazia della fragilità. Ed ecco che Pio XIII torna, raccoglie il frutto del lavoro di Giovanni Paolo III ed esaudisce il proprio desiderio nonché quello del suo alter ego: ne riprende il posto per esser ricordato in eterno e concedere finalmente all’altro il privilegio di essere dimenticato per sempre.
Sir John ottiene tutto ciò che ha sempre voluto: la consapevolezza anzitutto che «la mia fragilità è la mia forza, non la mia dannazione» e il ritorno a casa dove riesce a riconciliarsi con i genitori e può finalmente concedersi alla sua stessa rivoluzione cedendo all’amore per Sofia. Anche Lenny dopo aver cambiato la Chiesa e il mondo ottiene ciò che desidera: entra nel Mistero e, come la Madonna «vergine e madre, figlia del suo stesso figlio» e come Cristo «che è padre e figlio», lui diventa «successore del suo successore» oltre a essere risorto dalla morte. Ottenuto tutto soccombe, questa volta per sempre, idolatrato come un Santo, un’opera d’arte o, ancor di più, come il Cristo di cui assume la posa plastica.
In conclusione per rappresentare un Papa-uomo, quello che rivela la fragilità e a volte anche la miseria umana, Sorrentino non poteva che ricercare un modello nell’uomo i cui limiti e le cui risorse conosce meglio, vale a dire se stesso. Mentre per raccontare l’altro, il Papa-Santo, per la stessa ragione doveva cercare quanto di più divino possibile. Ma ciò che è divino è anche, per definizione, ciò che è più di distante dall’uomo ed è lì, ossia distante, distante da sé, che Sorrentino doveva andare ed è andato a cercarlo.
Rimane tuttavia un’ulteriore consapevolezza che certamente il regista non avrà mai il coraggio di rivelare, vale a dire che pur assomigliando a Sir John alla fine per il cinema lui è come Lenny: un Papa che sembra fare miracoli. E penso che continuerà a farne almeno fino a quando, come Giovanni Paolo III, anche lui non nutrirà il profondo desiderio di essere dimenticato.