Saper riconoscere un determinato fenomeno, individuarne gli elementi identitari ed essere in grado di definirlo con precisione rappresentano il primo passo fondamentale per una efficace azione di contrasto. Il passaggio successivo, altrettanto indispensabile se il fenomeno che si intende trattare è la criminalità organizzata, è cercare di comprendere gli errori che si sono commessi nell’operazione di contrasto ai suoi danni.
È con questo spirito che ci apprestiamo a inaugurare un nuovo ciclo di articoli per la rubrica Mafie, incentrato sulla analisi di quei comportamenti / strategie che, portati avanti dai principali attori preposti all’applicazione di politiche e legislazioni nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata, hanno costituito veri e propri peccati capitali. Si tratteranno sei differenti approcci al fenomeno mafioso riscontrabili un po’ ovunque nel mondo e che, piuttosto che fiaccare il potere dei grandi gruppi criminali, ne hanno facilitato l’insediamento a livello globale, come scritto anche dall’ex questore francese Jean-François Gayraud nel suo capolavoro ‘Divorati dalle Mafie’.
Il primo di questi sei scivoloni ad essere analizzato sarà quello che ha portato per tanto tempo a credere, quando non a fingere con cognizione di causa, che le mafie non esistessero, riducendo il fenomeno a semplice criminalità spiccia. ‘La mafia non esiste – si è ripetuto all’infinito – è un’invenzione bella e buona’. Una frase udita in ogni angolo del mondo e che, ahinoi, in Italia siamo stati costretti a sentire per decenni. Come un fastidiosissimo disco rotto.
Poi, con il passare degli anni e il verificarsi di mutamenti tanto all’interno della società quanto delle stesse consorterie criminali, il boato assordante delle bombe e degli spari ha impedito di contestare l’evidenza dei fatti e con essa l’esistenza di un’entità criminale dai tratti unici, terribili. Politici e studiosi sono così passati dalla fase della negazione a quelle altrettanto deleterie dell’alienazione e della marginalizzazione del problema mafioso.
Nel primo caso, questo è stato trattato su base spesso etnica, ritenendolo un qualcosa introdotto dall’esterno in una società di per sé sana e positiva. Una visione tanto errata quanto pericolosa, che ha portato a legare il concetto di mafia a singole realtà come ad esempio quella italiana, russa o giapponese, fingendo o sperando che questa non potesse uscire dal proprio habitat originario. Una visione tanto errata quanto pericolosa, come dimostrato dagli ultimi trent’anni di globalizzazione.
Nel caso della marginalizzazione invece, il tema della criminalità organizzata viene immancabilmente considerato come una problematica secondaria, un elemento marginale se posto a paragone con minacce percepite come più urgenti quali, ad esempio, quella comunista – negli Stati Uniti del secolo scorso soprattutto – o più recentemente quella rappresentata dal terrorismo.
Un articolo sarà poi focalizzato sulla subdola capacità seduttiva che le mafie esercitano sulle società che intaccano, riuscendo a suscitare talvolta un sentimento prossimo all’idealizzazione e / o all’immedesimazione. In questo senso la cassa di risonanza offerta da strumenti d’intrattenimento quali il cinema, la televisione, o l’industria videoludica, ha svolto più o meno involontariamente un’azione sdoganante e di legittimazione nei confronti del fenomeno mafioso, grazie anche e soprattutto alle scarse conoscenze di cui il pubblico poteva disporre sull’argomento dovute a decenni di negazione, alienazione e marginalizzazione di cui sopra perpetrati dai propri vertici politici.
A concludere questo nostro viaggio tra i principali peccati commessi nell’ambito della lotta alle mafie verranno infine delineati due comportamenti che stati e autorità di contrasto hanno implementato, e in alcuni casi implementano ancora oggi, nell’interfacciarsi alla criminalità organizzata transnazionale.
Da una parte troviamo la repressione estemporanea, solitamente avviata a seguito di uno o più attacchi violenti a uomini o istituzioni di vertice. Per quanto muova da nobili presupposti, tale tipo di reazione da parte dello stato ha spesso come unico risultato quello di elevare per brevi periodi il livello dell’attenzione pubblica circa la tematica mafiosa, senza riuscire ad evitare tuttavia il ritorno di una parziale indifferenza a riguardo, indispensabile ai gruppi criminali ai fini del proprio riassestamento.
Dall’altra parte è possibile individuare la problematica quantomai odierna della mancanza di coordinazione internazionale tra stati, ma anche tra le diverse agenzie che combattono la criminalità organizzata transnazionale. La discrepanza tra unità d’intenti – quando presente – e azione, ha offerto infatti alle mafie una realtà ideale, garantendo loro pene più leggere o addirittura la totale impunità, grazie allo spostamento in paesi dal regime legislativo più blando – se non completamente assente – in materia di antimafia. Un dilemma, quello del cosiddetto forum shopping, che intacca profondamente la realtà in cui viviamo e che costituisce oggi un vero e proprio nodo gordiano del diritto internazionale: una sfida da affrontare e vincere con rapidità da parte degli stati di tutto il mondo, laddove intendano realmente difendere i propri interessi dagli attacchi della criminalità organizzata e condurre una efficace attività di contrasto ai suoi danni.
I sei peccati capitali a cui si è appena avuto modo di accennare hanno plasmato uno scenario dai tratti paradisiaci per le attività ed i conti correnti delle mafie le quali, indisturbate o combattute in maniera scoordinata, hanno potuto aggredire l’organismo globale espandendosi come un cancro in fase metastatica. Tuttavia abbiamo ancora modo di recuperare ed imparare dagli sbagli commessi: ‘Se un errore non è un trampolino di lancio, è un errore’, ha scritto il grande Eli Siegel. A questo punto, tuffiamoci.