A cura di Giacomo Somazzi
Se da un lato la fine dell’esperimento neorealista e della tanto esorbitante quanto ispirata produzione cinematografica degli anni ’60 segna la fine del periodo più alto del cinema italiano, dall’altro permette un rinnovamento artistico e creativo che si discosta dagli schemi classici per dedicarsi alla ricerca di uno stile originale, fortemente influenzato dai cambiamenti socio-culturali del tempo.
Si apre così, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, un campo vasto e inesplorato dove giovani registi, finito il loro periodo di apprendistato, si dedicano alla scoperta di nuove storie e nuovi modi di fare cinema. In questa fase nascono alcuni tra i più prolifici generi e filoni popolari, ma, come vedremo, popolari solo in parte e solo all’apparenza, che accompagnano e sostengono tutto il cinema italiano assolvendo l’importante funzione di riempire le sale e permettere così alle case di produzione di sovvenzionare anche i film dei grandi registi. Non solo questo, ma i film popolari furono il laboratorio perfetto in cui le nuove leve poterono sperimentare e crescere liberamente.
Lo spaghetti western, l’horror nostrano e il poliziottesco formano una fortunatissima triade che per quasi trent’anni sembra avere un successo ineguagliato al botteghino, coniugando quasi sempre fama e qualità. In questo articolo ci si soffermerà in particolare sul Poliziottesco, facendo una disamina delle sue caratteristiche fondanti attraverso gli autori più importanti e i loro film più rappresentativi.
Innanzitutto, per meglio inquadrare gli orizzonti e la poetica di questo genere, è importante parlare dell’ambientazione dei film, o almeno della maggior parte: la città. Luogo prediletto dal Poliziottesco, la città è caratterizzata da grattacieli di cemento, banche strettamente sorvegliate e squallidi bar di periferia; evocati magistralmente in Milano calibro 9 (Fernando Di Leo, 1972). Servirebbe un articolo a parte per parlare di un film di tale spessore, ma in questo ci si limiterà a citare la splendida colonna sonora interamente composta e suonata dagli Osanna e la mitica, indimenticabile scena iniziale.
Questo tipo di ambientazioni e, come vedremo, di personaggi affondando le loro radici nel Noir americano e specialmente in un suo filone minore, i film di gangsters. Ciononostante la ripresa di questo immaginario fatto di città tenebrose, sicari brutali e pericolose femmes fatales ha il pregio di essere stata efficacemente declinata in una società e in un periodo storico molto diversi, senza però perdere nulla della forza espressiva e a volte anche sovversiva delle sue storie.
Si arriva così alla seconda caratteristica dei film poliziotteschi: le figure umane che li animano. Sarebbe riduttivo definirli solo come ladri e poliziotti, anche se nei film meno ispirati spesso lo sono, poiché possiedono caratteri sfaccettati e sono mossi da motivazioni profonde. Basti pensare ai personaggi interpretati da Tomas Milian come l’ispettore Ravelli di Squadra Volante (Stelvio Massi, 1974) oppure Er Monnezza de Il trucido e lo sbirro (Umberto Lenzi, 1976). Inoltre tra i protagonisti di queste storie si annoverano alcuni tra gli attori italiani più importanti di sempre: Gian Maria Volontè, Gastone Moschin, Adolofo Celi e Salvo Randone.
Il poliziotto e il criminale dunque vengono solo in principio presi come semplici archetipi, ma durante lo svolgimento del film sono calati in contesti e in situazioni che mettono alla prova la loro morale e ciò in cui credono, fino al punto da potersi redimere dopo una vita dedicata al crimine oppure dannarsi dopo una vita passata nel rispetto della legge, come il protagonista de Il cittadino si ribella (Enzo G. Castellari, 1974) interpretato da Franco Nero.
L’universo del Poliziottesco è pessimista e disilluso: la trasformazione causata dal boom economico e dalla speculazione edilizia è ormai irreversibile e i valori umani sono stati barattati da tempo con denaro e potere. Banditi a Milano (Carlo Lizzani, 1968), capostipite del genere, e Cani arrabbiati (Mario Bava, 1974) sono due esempi eccellenti. Inoltre si fa cenno non di rado al sempre crescente divario tra ricchi e poveri, tra classi dominanti e subalterne: ai poliziotti e ai criminali, o agli sbirri e ai trucidi, il compito di raffigurare questo impossibile equilibrio. La presenza di tali temi non deve stupire, anzi è connaturata ai film poliziotteschi in quanto questi cercano di descrivere, seppur con toni epici e a volte esagerati, il cambiamento in atto in Italia e la crescente tensione che ne scaturisce: siamo nell’epoca della bande armate, delle rapine alle banche, dei sequestri di persona e, non ultime, delle stragi di stato.