Siamo infine giunti all’ultimo capitolo del nostro viaggio alla scoperta dei diversi volti delle mafie. Oggi vedremo insieme l’ultima sfaccettatura di questo peculiare fenomeno, forse la più subdola e certamente quella che ha permesso alla criminalità organizzata di perdurare sino a giorni nostri.

«Piegati come un giunco che la piena, prima o poi, passa» recita un proverbio popolare siciliano. Un principio applicato magistralmente dalle mafie nostrane e non solo, che è in grado di spiegare alla perfezione come queste siano state in grado di sopravvivere per secoli ai mutamenti della società. Proprio come delle canne durante la piena di un fiume, i gruppi criminali più longevi hanno infatti saputo piegarsi davanti ai colpi e alle sferzate delle correnti, flettendosi, senza tuttavia mai spezzarsi del tutto.

Una sorprendente capacità di adattamento, questo il segreto dietro l’insolita longevità delle mafie. Una peculiarità, quella di sapersi rimodellare in base al contesto circostante, che se si vuole compiere un’ulteriore analogia naturale ricorda molto il modus operandi dei camaleonti. Questi simpatici animaletti sono infatti maestri nell’arte della mimetizzazione: adattando i propri toni cromatici all’ambiente limitrofo riescono ad integrarvisi in maniera impercettibile e a stare al riparo dagli occhi affamati dei predatori, diventando loro stessi temibili cacciatori.

Maestri nell’arte del mimetismo si diceva… Foto: Lescienze.it

Le mafie replicano alla perfezione l’omocromia del camaleonte, adattando le proprie tonalità allo sfondo della società in cui vivono. Silenti si mantengono in disparte, modificano il proprio aspetto al mutare del tempo ma, mutatis mutandis, sopravvivono ad ogni cambiamento. Sono l’animale più furbo della fauna criminale, quello che prevede gli sviluppi del proprio habitat e vi si adatta per primo, laddove altre specie vengono fagocitate dall’avvento di nuovi predatori.

È forse proprio questa adattabilità, questa insuperabile, maliziosa furbizia che le contraddistingue, a rappresentare il volto più spaventoso delle élite criminali mafiose. Il perché risiede nella natura trasversale di questa capacità di adattamento, che permette loro di arrangiarsi in ognuno dei contesti analizzati negli appuntamenti precedenti di questa rubrica: le mafie sono animali glocali, parassiti statali e capitaliste selvagge, precisamente perché hanno saputo adattarsi alle nuove realtà geografiche, politiche ed economiche come veri e propri camaleonti.

La capacità di arrangiarsi le è risultata fondamentale, quindi, nell’assimilare le matrici dello sviluppo della globalizzazione, seguendone la corrente ma evitando tuttavia che questa la trascinasse a fondo. Così si esprimeva nel 1995 Alessandro Corneli, riguardo alla facilità con cui la criminalità organizzata si è integrata all’interno del nuovo ecosistema globalizzato:

La forza della criminalità organizzata transnazionale è di muoversi nella corrente, non contro la corrente: basti pensare ai temi della liberalizzazione dei movimenti delle persone, delle merci e dei capitali. Sani princìpi occidentali che la criminalità organizzata non ha difficoltà ad accettare e a volgere a proprio favore. Dieci anni fa, i mercati finanziari trattavano ogni giorno 300 miliardi di dollari; oggi ne trattano 1000 miliardi. È ben noto che la criminalità organizzata vi svolge una parte non trascurabile.

La stessa resilienza è riscontrabile poi nelle modalità attraverso le quali le mafie hanno saputo infiltrare le maglie della politica nazionale e internazionale. Seguendo il principio della ricerca del quieto vivere invece dello scontro diretto con le entità statali, hanno mutato camaleonticamente il proprio colore in base a quello del partito in carica, traendo beneficio dai diversi schieramenti politici, spremendoli fino a sopravvivergli.

Della adattabilità e della malizia mafiosa in campo economico poi, gli esempi sono molteplici. Abbiamo visto negli articoli precedenti come i gruppi criminali transnazionali abbiano anticipato gli stati nel fare propri determinati mutamenti della sfera economica, sopraggiunti con l’affermarsi della globalizzazione, ma questa capacità di adattamento è ben riscontrabile ancora oggi.

Ad ulteriore dimostrazione dell’incredibile intraprendenza e lungimiranza della criminalità organizzata, ad attirare più recentemente l’attenzione mafiosa sono state le cosiddette criptovalute, monete virtuali che garantiscono l’anonimato e la riservatezza che nessuna banca è più in grado di offrire. Secondo due inchieste del Sole 24 Ore e de L’Espresso è apparso che la forma più famosa di queste valute, i Bitcoin, nel 2015 sia stata oggetto di imponenti investimenti da parte di ‘Ndrangheta e Camorra, che decisero di accaparrarsi ingenti quantità di criptovaluta a circa 200-300 euro a gettone, laddove oggi uno di questi vale all’incirca trenta volte tanto, dopo aver toccato picchi di 19000 euro a Bitcoin a fine 2017. È evidente, data la segretezza che questa valuta garantisce ai suoi investitori, quanto rappresenti un eccellente strumento per l’accumulazione di capitali e il riciclaggio di proventi provenienti dall’attività illecita.

Che siano i Bitcoin e le altre criptovalute il futuro del riciclaggio di denaro? Foto: Linkiesta.it

Anche il rinnovato uso, o non uso, della violenza da parte delle odierne organizzazioni criminali è riprova della sua innata capacità di adattamento al contesto in cui si trova. Col passare dei decenni infatti, queste hanno anteposto un utilizzo razionale ed economico della violenza alla sua più tradizionale forma che prevedeva l’attuazione di strategie violente col fine di affermarsi sul territorio. Oggi le mafie preferiscono invece ricorrere alla violenza in maniera oculata, parsimoniosa, consce delle ripercussioni che atti particolarmente cruenti possono suscitare nella società civile. In passato, ad esempio, aver esagerato nell’affidarsi a pratiche violente sensazionali (per quanto questo fosse funzionale a ribadire il proprio potere agli occhi dello Stato e della popolazione) ha comportato un inasprimento delle legislazioni repressive in ambito antimafioso.

Assimilata la lezione, le mafie di oggi riducono al minimo il ricorso alla violenza poiché hanno capito che giova loro decisamente di più rimanere nell’ombra, sullo sfondo come un camaleonte appunto, inosservate e attente. È stato il contesto ad imporre loro questo cambiamento, ed esse non hanno battuto ciglio, assecondandolo scientemente per evitare di soccombere: lo spirito di sopravvivenza e autoconservazione dell’organismo mafioso infatti, vieta categoricamente atteggiamenti autolesionisti e che potrebbero rivelarsi fatali.

Attilio Bolzoni, noto giornalista esperto di mafie e antimafia, racconta in un’intervista la recente svolta mafiosa che ha portato le organizzazioni criminali a preferire il dialogo ed i rapporti con la politica a lupara e tritolo. Fonte: https://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/nuova-vecchia-mafia/

Un esempio su tutti: quando gli ambienti mafiosi siciliani ritennero che Totò Riina stesse conducendo una politica eccessivamente aggressiva nei confronti dello Stato, dilaniandolo a suon di bombe e stragi di innocenti, colui che venne scelto per succedergli in seguito all’arresto del 1993, ovvero Bernando Provenzano, impose una linea decisamente più cauta e conservativa. Questi aveva difatti fiutato il rischio mortale a cui la Mafia stava andando incontro nell’inimicarsi, attraverso un uso spropositato della violenza, non solo i dirigenti dello Stato ma l’intera società civile siciliana ed italiana.

L’adattabilità e la resilienza di cui le mafie globali fanno sfoggio, quindi, costituiscono la caratteristica più trasversale del re del crimine. Dal piano criminale a quelli dell’infiltrazione politica, economica e sociale, la criminalità organizzata transnazionale dimostra una prodigiosa sagacia adattiva. Peculiarità che le ha permesso negli anni di mutare la propria struttura organizzativa, i propri traffici ed i propri confini territoriali, senza tuttavia perdere la posizione di vertice che ricopre all’interno dell’ecosistema criminale.