Premessa numero uno: non è mai stato così facile creare un videogioco
Se in origine videogiochi erano creati in laboratori da persone con enormi conoscenze scientifiche, al giorno d’oggi chiunque abbia un computer può mettere insieme un gioco anche di un certo livello. GameMaker, Unity, Godot, Unreal Engine – strumenti che una volta erano a disposizione solamente di esperti al soldo di case di sviluppo – sono ormai evoluti e accessibili a chiunque, con barriere monetarie minime e dalla difficoltà d’apprendimento estremamente variegata. Che tu sappia sviluppare o no, i tempi in cui per fare un videogioco in solitaria bisognava pagare licenze costosissime o scrivere migliaia di righe di codice da zero sono passati; al giorno d’oggi esistono ambienti di sviluppo pensati appositamente per giochi, interfacce ad icone, se non addirittura giochi stessi in grado di lasciarti creare giochi al loro interno.
Queste condizioni vantaggiose permettono anche a giovani e giovanissimi di cimentarsi con lo sviluppo, senza dover per forza aver conseguito una laurea in informatica. Ma, soprattutto, sono disponibili a un prezzo estremamente ridotto – se non addirittura gratuito, tramite accordi di licenza che permettono di mettere in vendita un gioco realizzato gratuitamente se sotto una certa soglia di vendite. Questa soglia è parecchio alta: Unity, motore grafico 3D favorito nel mondo del gioco indie, ne permette l’uso gratuito a condizione che le entrate siano al di sotto dei 100.000$ annui, che siano tramite vendite o finanziamenti. L’obiettivo è venire incontro agli sviluppatori di piccole dimensioni, se non singole persone, che non hanno un publisher in grado di finanziarne gli sforzi (e non hanno la possibilità di trovarlo).
Questi sviluppatori solitamente ricadono all’interno del mondo degli indie. Abbreviatura di independent developer, il termine è estremamente vago e va dall’indicare il singolo programmatore da cameretta fino a studi di decine di persone che gestiscono quantità anche significative di denaro. Il termine ombrello va semplicemente a definire uno sviluppatore che non è al soldo di un publisher (EA, Ubisoft, tutti i grandi e medi nomi del settore), e non indica in realtà le dimensioni – nonostante il modo in cui viene usato. È una definizione vaga, ma in questo caso ci occupiamo degli sviluppatori più minuscoli del settore.
Premessa numero due: non è mai stato così facile pubblicare un videogioco.
Nel 2012 Steam, la principale piattaforma di distribuzione di giochi digitali su computer, annunciò la nascita di Steam Greenlight. Questo servizio permetteva agli sviluppatori di inserire i propri giochi in un database aperto al pubblico, che avrebbe votato quelli più interessanti; l’azienda avrebbe quindi venduto i più votati tramite il suo negozio online, rimuovendo la barriera creata dagli editori per poter raggiungere un pubblico più ampio rispetto a quanto fosse possibile in precedenza. Il tutto a seguito di una piccola tassa di 100$ per gioco inserito.
Dopo una settimana, il servizio era stato invaso da centinaia di videogiochi in cerca di voti, una pioggia di scopiazzature e giochi di livello molto basso che sfruttavano ogni trucco per manipolare le votazioni. Dopo sei mesi, in seguito anche alle critiche legate al ridottissimo numero di giochi approvati, lo stesso fondatore di Steam parlò di come volesse rimuovere completamente l’idea di avere un distributore tra sviluppatore e cliente, lasciando che il sito diventasse non più un negozio, ma un mercato aperto dove chiunque potesse vendere qualunque gioco. Dopo cinque anni, nel 2017, ogni sembianza di gestione delle vendite si sciolse come neve al sole e venne introdotto Steam Direct; oggi chiunque sia disposto a pagare 100$ di tasca sua (recuperabili una volta superata una soglia di vendite) può caricare un gioco online, a patto che non abbia contenuti dannosi o illegali. La pioggia si trasformò in inondazione.
Steam Greenlight e Steam Direct non sono nè il primo nè l’unico esempio di questo processo, ma sono di sicuro il più eclatante in termini di dimensioni. Una volta che la barriera che separa un creatore dalla distribuzione è rimossa, il mercato viene inondato da prodotti di livello ridicolmente basso – come chiunque abbia mai fatto shopping online sa bene. E nonostante ci fossero e ci siano alternative a Steam, primo fra tutti Itch.io per i piccoli sviluppatori, il dominio di questo sito sul mercato è tale che ogni cambiamento segna un’era diversa. Aprire quegli scaffali digitali a chiunque segnalò un cambiamento significativo: se era possibile lanciare giochi online sin dalla nascita del web, adesso è anche possibile connettersi direttamente a un’audience con il portafogli in mano, invece di gettare la lenza e incrociare le dita.
Conclusione: il mercato è sovraffollato.
Cosa succede quando i costi di produzione di un prodotto si abbassano vertiginosamente e le barriere della distribuzione scompaiono? Succede che il mercato si riempie di concorrenti, la maggior parte dei quali dalla qualità infima, e i prezzi vengono spinti costantemente verso il basso. In precedenza, e parzialmente anche durante l’era Greenlight, i pochi giochi indie che riuscivano a infilarsi nel mondo dei “grandi” potevano godere di un successo spropositato, ma queste situazioni si verificavano in un mercato completamente diverso da quello attuale. La situazione attuale è pari all’essere una goccia in un oceano su un pianeta ricoperto completamente d’acqua, e l’impegno richiesto per farsi notare è estremamente maggiore.
Daniel Cook, dal suo blog su GamaSutra, dipinse un tetro ritratto della situazione a fine 2016. L’esplosione del mondo indie viene identificata verso la fine degli anni 2000, quando Microsoft, Steam e altri colossi del settore iniziarono a investire pesantemente nella distribuzione online – distribuzione che richiedeva giochi, giochi che venivano quindi ricercati e spinti verso il pubblico. Pubblico che aveva a disposizione un’offerta limitata, piazzando quindi i primi esploratori del settore in prima fila per conquistare i cuori (e i portafogli) degli appassionati. Nel caso tu sia interessato al mondo dello sviluppo, è una lettura obbligatoria – e decisamente troppo lunga per essere riassunta in questo articolo.
Molte delle sue previsioni si sono rivelate veritiere, in particolare quella sui giochi come servizi continuati, sempre aggiornati e che monopolizzano l’attenzione del giocatore. E, per le persone interessate ai numeri, The Verge ha pubblicato una lunga serie di interviste che studiano quanto effettivamente abbiano reso agli sviluppatori i loro videogiochi. I numeri sono abbastanza bassi, molto più di quanto il pubblico sospetta.
Questo è quello che retroattivamente è stato chiamato Indiepocalypse: una contrazione del mercato dei giochi indipendenti, una perdita di spazi in cui operare e una progressiva chiusura alla promozione del settore, se non addirittura aperta ostilità – molti sviluppatori denunciano trattamenti negativi da parte di Steam, le cui politiche di posizionamento dei giochi premiano fortemente gli studi di grandi dimensioni, ma l’azienda che controlla il sito è notoriamente avversa al rivelare dati e dettagli delle sue scelte. Altri sono contrari al concetto, sostenendo che una contrazione del mercato sia normale dopo l’esplosione di inizio millennio, se non addirittura liquidando le analisi come semplice allarmismo.
Che il termine calzi o meno, la conclusione di molti sviluppatori al giorno d’oggi è abbastanza ovvia: per lanciarsi nel mondo dello sviluppo indipendente bisogna avere una rete di sicurezza. Vivere con i genitori, o sviluppare nel tempo libero dopo il lavoro, sembrano le strade principali; qualunque attività che possa portare un flusso costante di denaro o una riduzione significativa delle spese sembra necessaria, o si rischia di finire i fondi (e i risparmi) in maniera fulminea.
Giochi indie: solo un hobby?
Ciò non vuol però dire che il settore sia tutto da buttare. In particolare, c’è ancora la possibilità di essere in prima fila, a patto che si lanci al momento giusto. Nintendo Switch è l’esempio più recente: la corsa al portatile giapponese è stata fondamentale per il successo di molti giochi indie, e in alcuni casi ha addirittura ribaltato la fortuna di certi titoli, rendendo famosi piccoli studi a un passo dalla bancarotta. Tutto ciò non perchè il sistema di per se sia speciale, ma semplicemente perchè la mancanza di concorrenza ha puntato i riflettori sui pochi presenti sul palco.
E questo ci porta al motivo per cui abbiamo deciso di parlarne ora. Se la stessa Switch si sta riempiendo di un sacco di prodotti – Nintendo stessa ha dichiarato di voler aprire i cancelli, ahimè, invece di selezionare solo i giochi più meritevoli – si aggira all’orizzonte un’occasione estremamente ghiotta. La nuova generazione di console, pronta ad atterrare nei salotti degli appassionati, sta per arrivare; PS5 e Xbox Series X, più le loro varianti, più le rumoreggiate revisioni di Nintendo Switch, apriranno le porte a nuovi mercati incontaminati. Sarà estremamente interessante vedere quali saranno i giochi che avranno un successo enorme, legati a questa nuova ondata di tecnologie e pubblico.
La corsa è già iniziata.