Il caso Australia
Come per ogni evento del genere, anche nel caso degli incendi australiani i social si stanno riempiendo di immagini fake, foto di archivio e tanto altro. Manca una comunicazione chiara su cosa sta succedendo in realtà. Ci ha pensato Giorgio Vacchiano (ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano) a scrivere un post per punti chiari ed efficaci sulla questione Australia. Il post è diventato virale in poco tempo, per cui è inutile ripercorrerlo da cima a fondo, vediamo però dati e aspetti più curiosi.
L’Australia è grande quanto l’Europa intera, quindi dobbiamo impostare la nostra mente su una scala diversa. Le condizioni di siccità sono così estreme che gli incendi hanno raggiunto aree solitamente esenti da fiamme. Sono bruciati già 9 milioni di ettari di territorio, una quantità molto maggiore rispetto alla media, e che bastano a coprire i quattro quinti delle foreste italiane. Se fosse successo qui, ci verrebbe più comodo fare i conti degli alberi ancora vivi. Non è successo qui però, è successo in Australia, dove le condizioni climatiche e morfologiche sono molto diverse.
Ogni ecosistema ha le sue caratteristiche e i suoi metodi di sopravvivenza, c’è una competizione spietata tra le specie, e i casi di collaborazione non sono mai fatti per beneficenza. Noi siamo abituati alla macchia mediterranea, alle alte conifere alpine e molto altro. In Australia la vegetazione tipica è il bush, una savana arida con alberi sparsi e arbusti simili alla nostra macchia mediterranea. La sua conformazione è perfetta per prendere fuoco, e molte delle specie che lo compongono contengono oli altamente infiammabili. Non è un caso: il clima australiano ha fatto in modo di dirigere l’evoluzione delle piante locali verso il tipico bush. La grandezza degli incendi di questo periodo è assolutamente anomala, ma gli incendi sono fenomeni naturali, a cui piante e animali sono abituati, e da cui sanno difendersi e trarne beneficio.
Non tutto il fuoco viene per nuocere
Dato il clima arido e i fulmini che spesso danno vita agli incendi, le piante che sono sopravvissute nei millenni di evoluzione sono proprio quelle che si lasciano trasportare dalle fiamme e rinascono ancora meglio dalle ceneri. I semi, che non vengono danneggiati dal fuoco, danno vita alla nuova generazione, prevaricando sulle altre specie di piante che si sono arrese al fuoco. Questo non è un fenomeno isolato e tipico del bush, ma di molte specie: le pigne sono spesso molto resistenti al fuoco, e al loro interno i semi vengono protetti molto bene. Il meccanismo è ovviamente suicida per un singolo albero, ma è la specie che riesce a sopravvivere. In un bosco dominato da alberi che non utilizzano questo meccanismo, qualche pino isolato riuscirà a far rivivere la specie dopo l’incendio, prevaricando notevolmente sulla specie che dominava fino a poco tempo prima. I tempi non sono immediati, possono passare anni prima che rinasca il bosco, ma la natura fa il suo corso con i suoi tempi e arriva al risultato senza problemi. È grazie a un meccanismo di questo genere che il bush ha prevaricato sulle altre specie in Australia.
Parlando di collaborazione, gli incendi del bush portano alla luce un fenomeno curioso: alcuni falchi (soprannominati firehawks) trasportano rametti infuocati, per innescare incendi in zone ancora intatte, favorendo il bush che rinascerà poi dalle ceneri. Non è per il buon cuore del falco che l’incendio si propaga: lui ha bisogno di visibilità per individuare le prede dall’alto, e una vegetazione rigogliosa non è ottimale. Con gli incendi gli si liberano vaste aree di caccia.
Ovviamente c’è chi ne soffre, tra cui l’uomo. Molti animali rimangono inoltre intrappolati negli incendi, e se l’incendio colpisce una specie tipica solo di quella zona, si rischia l’estinzione totale. Nessuna specie è immune a tutti i fenomeni naturali, a tutte le malattie e a tutti i predatori. Qui nasce l’importanza della biodiversità: un ecosistema in cui la biodiversità è elevata è resiliente alle catastrofi, e riesce a resistere e rinascere dalle ceneri.
I veri fiammiferi: politica e climate change
Tornando all’Australia, è girata voce che la colpa fosse di circa 200 piromani. Qualcosa sarà anche vero, ma per dare fuoco a un’area grande quanto l’Europa, ci dev’essere altro, infatti la smentita è arrivata presto. Circa metà degli incendi sono causati da fulmini, e sono gli incendi più grandi, perchè accadono in zone remote e poco antropizzate. Una serie di fattori climatici favorisce gli incendi, ed è spiegata molto bene nel post di Giorgio Vacchiano.
Questi fenomeni vengono amplificati dal Climate Change: aria più secca sulle coste australiane per il Dipolo dell’Oceano Indiano, spostamento verso nord dei venti anti-alisei e riscaldamento anomalo e improvviso nella stratosfera. A questo si sommano le temperature medie e massime che sono aumentate su tutto il globo.
Per questo l’Australia è in una posizione particolare: dilaniata dalle fiamme, ma immobile rispetto a politiche ambientali. Se tutti facessimo come l’Australia, l’aumento delle temperature al 2100 sarebbe di 3°C, mentre l’obiettivo del Sustainable Development Scenario sarebbe inferiore ai 2°C. Non si può attribuire tutta la colpa degli incendi alle politiche australiane, ma di sicuro non aiutano. Per di più in Australia, per compensare i 1000 euro annui pro capite che vengono spesi per sovvenzionare industrie del carbone, sono stati realizzati interventi di riforestazione, probabilmente già vanificati con questi incendi.
Imparare dalle ceneri
All’improvviso sono iniziate a circolare foto di koala in fiamme, donazioni da qualunque parte e fake news, come se l’Australia fosse vittima di un attacco alieno. Al contrario, siamo di fronte ad uno dei tanti eventi estremi che il Climate Change sta amplificando. La scienza è consapevole di questo, infatti gli ultimi report dell’IPCC segnalavano come “virtualmente certo” l’aumento di incendi in Australia dovuti al Climate Change. Gli incendi sono solo uno dei tanti eventi. Uragani, tempeste, inondazioni, siccità e tanto altro saranno all’ordine del giorno. L’asticella di “estremo” va alzata più in alto, ci si deve adattare alle nuove condizioni, imparando dal passato e migliorando le tecniche di difesa da questi eventi. Nel frattempo, ogni grammo di emissione è distruttivo, si devono attuare al più presto le politiche di abbattimento delle emissioni, verso uno scenario che contenga l’aumento delle temperature.
Lo slogan “pensare globale, agire locale” si adatta bene ancora una volta: per aiutare l’Australia la cosa migliore è fare di tutto per limitare le proprie emissioni (localmente) e abbassare la propria impronta ecologica globale (qui la si può calcolare).