A cura di Federico Di Matteo

Il clima politico-sociale

Scriviamo questo articolo a un passo dalla chiusura del secondo decennio degli anni 2000.
20 anni fa vi era allarmismo sul Millenium Bug, ovvero il rischio che tutti i sistemi operativi andassero in crisi per un difetto informatico: i pacchetti software usavano solo due cifre decimali per registrare l’anno e dal 1999 saremmo tornati all’anno 1900. L’allarmismo diventò quasi panico con informazioni apocalittiche sulla fine della società umana. Quest’anno invece, col passaggio dagli anni ’10 agli anni ’20 vi è un altro allarmismo – questa volta reale – il Climate Change.

© Altan – Fondazione Cineteca Bologna

In un mondo in cui i social network sono sempre più importanti per connettere le persone da una parte all’altra del mondo e per farle innamorare, litigare e informare, il trend topic di quest’anno di Tinder – la famosa app di incontri – dà informazioni molto chiare su cosa stia a cuore ai giovani nati negli anni 2000. Giustizia sociale, ambiente, controllo delle armi e, ovviamente, Climate Change. Il cambiamento climatico.

Arrivati a fine degli anni ‘10, alla fine del Protocollo di Kyoto, la fascia di popolazione nata dopo il 2000 è chiamata generazione Z. Questa generazione è la prima a non avere nessuna fiducia in qualcosa come il Sogno Americano; l’obiettivo di uno stipendio alto è lontanissimo, e perseguono piuttosto esperienze in cui mettono passione. È forse anche per questo che è la prima generazione che si batte compatta e decisa per il clima, seguendo Greta Thunberg, il Friday for Future e molti altri attivisti locali.

© Altan – Fondazione Cineteca Bologna

Si è iniziato a parlare di Climate Change con le prime serie storiche di dati climatici affidabili. Il focus principale era la correlazione tra quantità di CO2 in atmosfera e temperatura globale, cosa ormai accertata dal mondo scientifico, ma che ha impiegato molto tempo ad essere accettata da tutti. Era il 1992 quando la discussione passa in mano alla politica: nasce la United Nations Framework Convention on Climate Change. Si inizia a fare sul serio nel 1997, con il Protocollo di Kyoto, che nella mente di tutti noi è il primo evento ufficiale della serie Climate Change. Sembra molto lontano, ma il secondo dei due commitment period è iniziato nel 2013 e finirà nel 2020.

Un delle più famose serie di dati climatici [©NOAA] registrata dal 1960 alla base di ricerca di Mauna Loa [©The Climate Center]

Quando gli scienziati hanno iniziato a pubblicare articoli sul Climate Change non si aspettavano di essere di fronte ad una nuova sfida. In principio il copione sembrava quello di sempre: si raccolgono prove, si finanziano studi, basi di ricerca in Antartide e su isolette del Pacifico, i dati si fanno via via più concreti e le ipotesi diventano tesi. Qui nascono i primi problemi. I cosiddetti negazionisti climatici non credono alle prove scientifiche, usano tutto ciò che è in loro possesso per sostenere che il Climate Change non è reale. Con espedienti di analisi dati riescono a prendere tempo, usano solo porzioni delle serie storiche o di articoli pubblicati, per cercare di provare che la temperatura globale non stia realmente crescendo. Tutto quello che fanno è riconducibile al detto “Prendi un numero, torturalo, ti dirà ciò che vuoi”. 

Arte moderna a Berlino: “Politicians discussing Climate Change” [©Isaac Cordal].
Senza mobilitare l’arte, una scritta su un muro e l’acqua alta rendono chiaro il messaggio che siamo terribilmente in ritardo [©TheSubmarine].

Questa generazione di negazionisti è stata sconfitta, ora la teoria che tentano di provare è che il cambiamento climatico esista, ma non è colpa dell’uomo. Qualcuno supera questa fase e sostiene che sia colpa dell’uomo ma non si possa ormai rimediare. Vista da fuori sembra una discussione tra pari, ma numeri alla mano, gli scienziati sono molto compatti: circa il 97% di essi è ben convinto riguardo all’esistenza del Climate Change, e si tratta di convinzioni basate su prove scientifiche.
Negli anni, è stato anche provato che molti dei negazionisti sono stati finanziati da grandi aziende che sui combustibili fossili hanno costruito un impero. Una delle principali compagnie petrolifere statunitensi, la Exxon, per esempio, è risultata a conoscenza dei dati a prova del Climate Change, ma la sua politica aziendale è stata quella di finanziare studi negazionisti.

[©Seppo.net]

La sfida degli scienziati è stata, e lo è tuttora, quella di uscire dal laboratorio e trovare modi per parlare alla gente comune, che nella vita non passa le giornate dietro a concentrazioni di gas atmosferici. L’inizio è stato arduo, poi qualcuno ha avuto le prime buone idee, come James Balog per il film Chasing Ice (ne abbiamo già parlato qui). Col passare del tempo e degli sforzi, sono arrivati i rinforzi: Leonardo Di Caprio diventa ambasciatore alle Nazioni Unite per il clima. Suo è il film Before the flood, perfetto per far capire a tutti la gravità della situazione.

© Altan – Fondazione Cineteca Bologna

Cosa dice la scienza

Dal punto di vista scientifico, il Climate Change è un fenomeno che si studia da poco tempo. I dati hanno iniziato ad essere consistenti nell’ultimo decennio, grazie ad anni di ricerche sul campo e nuovi satelliti lanciati appositamente per questo. Le prove sono ormai sufficienti a dichiarare con certezza l’esistenza del Climate Change e che il colpevole è l’uomo. 

Negli anni ‘10 l’umanità si è trovata a far fronte a un problema mai visto prima, in cui in pericolo è il mondo intero e non si sa bene cosa fare. Si è iniziato con il ridurre gli eccessi e gli sprechi: la raccolta differenziata è cresciuta in maniera esponenziale, l’efficienza è stata studiata al massimo, si sono diffuse le auto a GPL e a metano. Nel frattempo, per alimentare tutto ciò che è diventato elettrico, e ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili, si sono sviluppate sempre più tecnologie per l’utilizzo di energie rinnovabili. 

I piccoli sforzi di ognuno di noi contribuiscono al successo nella sfida del Climate Change [©Jim Toomey – Sherman’s Lagoon].

Man mano che passavano gli anni ci si è resi conto che l’efficienza non basta. Ogni particella di CO2 emessa in atmosfera fa danni. Non si possono più limitare i danni, bisogna fermarli del tutto. Qui nascono allora le prime vere macchine elettriche, su cui il mondo sta investendo molto, nella speranza che nel frattempo si arrivi al 100% di produzione elettrica da fonti rinnovabili. Per quanti sforzi si facciano, siamo arrivati tardi. L’ultima speranza è allora correggere il tiro, togliendo CO2 dall’atmosfera, con le tecnologie di Carbon Capture and Storage. Il sequestro dell’anidride carbonica è però solo un tassello, un modo per dare tempo alle nuove tecnologie di entrare a regime. L’unico modo di limitare il Climate Change è quello di utilizzare efficienza ed energie rinnovabili insieme al Carbon Capture and Storage. Dal punto di vista sociale, si deve anche fare attenzione a non far passare il messaggio che è possibile inquinare senza problemi, perché poi si è in grado di togliere la CO2 dall’atmosfera.

© Altan – Fondazione Cineteca Bologna

Il mercato del clima

Un cambiamento del clima porta inevitabilmente ad una trasformazione dell’ecosistema (inondazioni, siccità, estinzione di alcune specie animali e vegetali); se ciò avviene in modo repentino gli esseri viventi non hanno modo di adattarsi al nuovo habitat, con rischi elevati per la loro sopravvivenza. Infatti, il clima della Terra è sempre variato, ma con un ritmo tale da permettere ad alcune specie di evolversi. Con Climate Change ci si riferisce al cambiamento climatico dovuto ad attività antropiche; si sta osservando che dall’era pre-industriale ad oggi la temperatura media globale è salita di poco più che 1°C (per il pianeta è una crescita enorme in un arco di tempo piccolissimo, abbastanza da addossare a noi tutta la responsabilità). Il limite di tale innalzamento è stato prima fissato a 2°C e poi ridotto a 1.5°C: restando sotto tale valore il cambiamento climatico sarà abbastanza lento da concederci il tempo di adattarci. Anche a livello economico, sono meno i soldi che si dovrebbero investire per limitare il processo di quanto verranno a costare i danni causati da un riscaldamento eccessivo.

Rischi connessi al Climate Change in basa all’aumento di temperatura (asse y) [©Climalteranti.it]

Un esempio di cambiamento lento, a cui è stato possibile adattarsi, viene dalla Svezia: nel 1991 introdussero una Carbon Tax di (corrispettivi) 24€/tonnellata, che è stata di anno in anno aumentata fino ai 114 €/tonnellata del 2019. La gradualità adottata nell’introduzione di questa imposta ha dato alle imprese e ai contribuenti il tempo di adattarsi, passando a fonti rinnovabili e optando per soluzioni che riducessero gli sprechi. Nel frattempo il governo ha avuto modo di adottare misure per ridurre la pressione fiscale dei produttori, temendo che la tassa andasse a pesare sui consumatori. In tal modo la nazione ha ridotto del 26% le emissioni.
Una tassa simile, ma sulle emissioni, è stata adottata anche in tutta l’Unione Europea sulla scia del Protocollo di Kyoto, con la creazione dell’Emission Trading System. Ciò ha portato una riduzione delle emissioni in Europa, ma non del tutto dovuta ad una svolta green dei produttori: essendo la tassa confinata nel continente, molte aziende l’hanno scavalcata delocalizzato la produzione in paesi con norme più permissive, come la Cina, che ha visto in tal modo crescere la propria economia. Come risposta l’UE ha imposto un dazio sui prodotti importati da paesi dove non vigono norme ambientali restrittive, ma si è notato che una politica di incentivi è più efficace. Mentre aumentando le tasse si rischia più facilmente di mettere in difficoltà il mercato, aumentando gli incentivi il danno è più contenibile, e non andando ad intaccare direttamente i consumatori (come avviene con le tasse) è più facile che questi vengano accettati dalla popolazione, soprattutto a livello psicologico, perché spesso a conti fatti i soldi non cambiano di un centesimo tra tassa e sovvenzione.

Potenza installata di rinnovaili nel mondo [©Qualenergia].

È proprio grazie agli incentivi che si è potuto assistere ad una crescita delle rinnovabili (ne abbiamo già parlato qui). Conosciute da quasi due secoli, le tecnologie a combustibili fossili hanno potuto perfezionarsi così tanto che le rinnovabili, relativamente nuove nel settore, non avrebbero in alcun modo potuto competere a livello economico con le prime. Vien da sé che devono essere dati incentivi anche alla ricerca, così che queste nuove tecnologie possano competere con le loro sole forze nello scenario mondiale.

Se questa è quindi la sfida lasciata alle nostre generazioni da due secoli di consumo “irresponsabile” resta da vedere come reagiremo e cosa ci daranno questi anni ’20.
Il pianeta resta perfettamente adattabile a condizioni avverse, con una capacità di reazione allo stress altissima, noi uomini molto meno. La nostra sopravvivenza dipende, ora più che mai, da quello che succederà in questi decenni a venire.

There is no planet B, lo slogan più importante ed efficace del movimento #climatestrike