A cura di Riccardo Spinelli
Nel Sidereus Nuncius (1610), il libro che sancisce la nascita della scienza moderna, ci sono alcuni disegni di Galileo che già da soli basterebbero a far indispettire la Santa Inquisizione. Si tratta di semplici schizzi che raffigurano la Luna come non era mai stata raffigurata. La Luna con le sue imperfezioni, le sue montagne, le sue valli e i suoi crateri. La Luna che non è liscia, perfetta ed imperturbabile come avrebbero voluto molti filosofi e la maggior parte della chiesa cattolica del tempo. É la Luna così come Galileo l’ha vista mettendo l’occhio dentro al cannocchiale: un mondo fatto di luci ed ombre come la Terra. Con pochi tratti netti e decisi, ma di una chiarezza disarmante, Galileo metteva in dubbio la distinzione aristotelica tra mondo sublunare corruttibile e mondo celeste perfetto. Una distinzione che per quasi duemila anni era stata considerata incontestabile.
A dire il vero la critica di Galileo più che questa dualità inesistente, voleva mettere in crisi un modo di pensare. Un metodo costruito su paure ataviche che costringeva l’uomo al ristagno intellettuale, senza possibilità di nuova conoscenza. In un passo della Terza Lettera intorno alle macchie solari (1613), Galileo scrive che è solo “l’odio particolare contro alla morte” che ha reso “odiosa la fragilità” agli aristotelici, ma che è proprio la fragilità, sono proprio quelle imperfezioni, quelle “corporali alterazioni” che permettono agli uomini e quindi anche agli aristotelici di esistere. Riprendendo questo discorso nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), Galileo aggiunge – quattro secoli prima di De Andrè – che non c’è peggior sciocchezza che considerare preziose le gemme e vilissimo il fango, ché dai diamanti a ben vedere non nascono “gelsomini” e neppure “arancini della Cina”. Galileo intuisce che la perfezione è senza vita, mentre l’imperfezione smuove, rende feconda la Terra, proprio come se fosse “animal vivo”.
É la stessa intuizione che ha, due secoli più tardi, Charles Darwin, e che lo porta a capire che i segreti della storia del mondo non sono deducibili dalle strutture perfette, bensì da quelle piene di difetti, stranezze, malfunzionamenti, di apparenti inutilità. Per Darwin la natura può essere compresa osservando, ad esempio, l’insensato meccanismo di difesa dell’ape, che nel tentativo di proteggersi espelle il pungiglione, un atto che la fa morire. Per non parlare del nostro perenne mal di schiena, retaggio di un coccige da quadrupede che si è messo in testa di star su due piedi. Per Darwin è nelle nostre sciatiche, nei nostri inutili lobi delle orecchie, nelle innumerevoli imperfezioni di tutte le specie viventi che si vede l’impronta della storia naturale e solo da lì si può cercare di comprenderla.
È questa prospettiva nuovamente e sapientemente rispolverata che Telmo Pievani adotta nel suo ultimo saggio Imperfezione (Raffaello Cortina Editore, 2019) per raccontarci niente di meno che la storia dell’universo dal Big Bang ad oggi, dove il tentativo di nascondere le nostre debolezze rischia di farci sprofondare nel baratro di una gigantesca crisi climatica.
Telmo Pievani è un filosofo delle scienze biologiche, il primo in Italia ad ottenere la cattedra in tale disciplina all’Università di Padova, ed è autore di numerosi saggi ed opere divulgative. In quest’ultimo lavoro ci racconta, passo dopo passo, quanto l’imperfezione sia decisiva nella storia naturale. Dalla creazione dell’universo, da quella infinitesima deviazione del vuoto quantistico primordiale fino all’origine e all’evoluzione della vita, per poi giungere agli animali e all’uomo e ai loro comportamenti sessuali e sociali bizzarri, spesso legati ad aspetti evolutivi. È in questa seconda parte che Telmo Pievani, entrando nel suo campo, racconta con precisione e spesso con piacevole ironia, una moltitudine di fatti, esempi, teorie che mettono in luce il meccanismo con cui agisce l’evoluzione. Un meccanismo più simile a quello degli artigiani che a quello degli ingegneri perchè non è frutto di un progetto ottimale, ma di una serie di compromessi. La natura – ci racconta Pievani – è tutt’altro che perfetta, si arrangia con quel che dispone, riutilizza ciò che serviva ad altro, improvvisa.
Così il DNA degli esseri viventi è pieno di ridondanti sequenze ripetute o geni dismessi; il koala ha l’apertura del marsupio, dove tiene i cuccioli, rivolta verso il basso, non proprio un’idea geniale per chi vive arrampicato sugli alberi. E il panda ha lo stomaco onnivoro di un orso, ma mangia quasi esclusivamente chili di bambù che non digerisce proprio facilmente. Con buona pace delle perfette proporzioni dell’uomo vitruviano anche noi siamo parecchio imperfetti con un parto doloroso e difficoltoso, un debole collo che deve sorreggere una pesantissima boccia oscillante, un cervello che assomiglia ad una delicata ed arrabattata opera di bricolage.
Ma l’imperfezione, l’apparente inefficienza, a volte diventa forza, come nel caso della nostra lunghissima e vulnerabile infanzia, caso rarissimo nel mondo animale, che necessita di grande protezione ed accudimento perché altrimenti saremmo indifesi, facili prede nel mondo naturale. Un ritardo che potrebbe sembrare una fragilità, ma che in realtà è diventata la nostra arma segreta perchè tra tutti i primati siamo quelli con la maturazione cerebrale più lenta, e questo significa più tempo per apprendere, imitare, esplorare, sviluppare linguaggio ed immaginazione simbolica.
Ma non è solo la natura in senso stretto che procede per imperfezioni. Lo è – o almeno dovrebbe esserlo – anche la nostra conoscenza scientifica (ciò che ci racconta come è fatta la natura) che procede attraverso tentativi, teorie sempre imperfette. Popper scriveva che solo attraverso la constatazione della fallibilità dell’uomo si può fare il grande passo, impugnare piccone e scalpello e farsi “artigiani” per partecipare alla costruzione dell’imperfetta “cattedrale” della conoscenza. Artigiani come la natura: si torna sempre lì, a quell’inspiegabile e misteriosa corrispondenza che sembra esserci tra natura e pensiero. Forse è un inganno, ma lascia sempre sbalorditi.