Inverno. Francia, regione dell’Auvergne. Il vento soffia misto alla neve. Dalla finestra di una scuola il suono della bufera arriva attutito e sembra meno minaccioso. Delle tartarughe camminano lente sul pavimento, nel silenzio dell’aula. Un piccolo pullman attraversa gli abitati del villaggio per recuperare i bambini da portare a scuola.

L’inizio di Essere e avere (Être et avoir), documentario del 2002 di Nicolas Philibert, è già di per sé la sintesi di ciò che accompagnerà lo spettatore nel corso del film. Uno sguardo delicato, senza costruzioni o retorica, su una classe unique – un solo maestro ed età eterogenee – di una scuola elementare di un piccolo villaggio francese, a Saint-Etienne sur Usson. Quasi totale assenza di musica, nessuna voce fuori campo, e una macchina da presa che entra in aula in punta di piedi lasciando lo spazio ai bambini e al loro insegnante.

(fonte: lospettacolo.it)

Nato come progetto di documentario sul mondo rurale, Essere e avere testimonia l’essenza del lavoro di Philibert: lasciarsi accompagnare dall’esperienza delle riprese e accettarne l’imprevedibilità. È il documentario che, in qualche modo, a un certo punto comincia a guidare l’autore e a dargli una direzione: «Nel mio caso, l’idea di un film nasce spesso in modo inaspettato, per una serie di combinazioni… A volte, basta un suono, un viso o una situazione per farla scattare. […] Non scaturisce mai da un’elaborazione astratta, da conoscenze teoriche o da propositi didattici. Anche se giro documentari, cerco innanzitutto di raccontare delle storie, partendo dai luoghi che mi fanno sentire coinvolto».

Nicolas Philibert (2010)

Luoghi e coinvolgimento: la materia del documentario per Philibert si crea a partire da un contatto diretto e fisico con la realtà. Un incontro che non pretende un assoggettamento dello sguardo della macchina da presa, ma che chiede un dialogo sincero. Solo in questo modo si riescono a intercettare le emozioni e le situazioni che i bambini vivono a scuola, senza che quasi si accorgano della presenza di una telecamera. A tal proposito entra in gioco un’altra tecnica messa in atto da Philibert, che mette in luce il patto di fiducia che il documentarista francese vuole s’instauri tra chi riprende e chi è ripreso. Prima di cominciare a girare, nel primo giorno di lavorazione Philibert si è preso il tempo necessario per spiegare ai bambini a cosa servissero i macchinari e quale fosse la loro funzione, dagli obiettivi, al treppiede, alla giraffa: «Ognuno di loro ha avvicinato l’occhio alla macchina da presa, ha giocato con lo zoom, si è messo la cuffia in testa… Dopo avere in parte appagato la loro curiosità, ho esposto le regole del gioco: se fino ad allora avevamo spiegato come avremmo lavorato, da quel momento in poi sarebbe stato il contrario». Un patto reciproco che porta a entrare in un regime di familiarità, di trasparenza, tanto che, come afferma Philibert, «dopo tre giorni facevamo quasi parte dell’arredamento».

Coinvolgimento, imprevedibilità, ma anche ricerca. L’apparente immediatezza del documentario, lungo poco più di un’ora e mezza, ha richiesto cinque mesi di ricerca della scuola giusta, dell’insegnante giusto e della situazione più congeniale, e 60 ore di girato una volta trovata. Una ricerca sul campo, più che sulla teoria, che ha fatto accostare il cinema documentario di Philibert a quello di Wiseman (se ne è parlato in un altro articolo, che potete trovare qui).

(fonte: alleedescuriosites.com)

Così, attraverso la pazienza, lo sguardo della macchina da presa riesce a farsi dimenticare e cogliere attimi di sincerità rara: l’alunno svogliato che cerca di evitare di colorare il disegno, il bambino appena arrivato che scoppia a piangere chiamando la mamma, e la commozione trattenuta del maestro che a fine anno saluta i suoi alunni, augurando buona fortuna a chi non rivedrà più.

Come le tartarughe all’inizio del film, il percorso di Philibert e dei bambini di Essere e avere passa dalla lentezza: per un cinema che sa aspettare e imparare dall’esperienza.

Fonte immagine copertina: locarnofestival.ch