Nelle intenzioni di Stanley Rous – patron della Fifa dal ’61 al ’74 – sarebbe dovuta essere un’amichevole di lusso ma, mentre le squadre sudamericane ci mettevano il cuore (e a volte anche qualcosa di più), per le europee si trattava il più delle volte di una seccatura. Solo in Italia la Coppa Intercontinentale si trasformava – in caso di vittoria, s’intende – in un’edizione per club della ben più gloriosa Coppa Rimet. Nata nel 1960 per testare le ambizioni globali del Grande Real, che aveva ormai fatto della Coppa Campioni il proprio giardino di casa, per un decennio rappresenterà una novità guardata con curiosità nel Vecchio Continente e con trepidazione nel Nuovo. Il formato iniziale prevedeva una gara d’andata e una di ritorno, da disputarsi alternativamente in Europa in Sudamerica: qui i tifosi di casa erano soliti riservare ai campioni europei trattamenti tutt’altro che amichevoli.
In particolare, sarà il trittico di finali disputate tra il ’68 e il ’70 dall’Estudiantes di La Plata a rivelarsi fatale: i violenti precedenti con Manchester United, Milan e Feyenoord spingeranno l’Ajax, campione d’Europa 1971, a snobbare per la prima volta la competizione. Il posto degli olandesi verrà preso dai vicecampioni del Panathinaikos ma il futuro della Coppa è segnato: sarà di nuovo l’Ajax, due anni dopo, a rinunciare a partecipare dopo che la finale del ’72 con l’Independiente aveva fatto nuovamente registrare episodi di violenza. Questa volta a Cruijff e compagni si sostituirà la Juventus, inizialmente propensa anch’essa a declinare ma poi persuasa dall’inedito formato della gara singola su suolo europeo, giocata all’Olimpico di Roma. Nel ’74 il paradosso: ad aggiudicarsi la Coppa sarà l’Atlético Madrid, tuttora l’unica squadra a laurearsi campione del mondo senza essere campione d’Europa.
Il 1975 è l’anno del primo buco nell’albo d’oro della competizione: i tedeschi del Bayern Monaco si rifiutano di volare ad Avellaneda per incontrare l’Independiente e la stessa decisione prendono gli inglesi del Leeds. Risultato: non si gioca. E non si giocherà nemmeno nel ’78, quando a snobbare una coppa che sembra ormai avviata verso un declino inarrestabile saranno il Liverpool campione (già sostituito l’anno precedente dai tedeschi del Borussia Mönchengladbach) e anche i vicecampioni del Club Brugge. Una rinuncia, questa – con tutto il rispetto per il pur prestigioso club fiammingo – sintomatica dello stato in cui versa la Coppa a fine anni ’70. L’edizione che convincerà la Fifa a prendere il controllo della competizione (la cui organizzazione era stata fino ad allora prerogativa delle due federazioni, Uefa e Conmebol) sarà però quella seguente. Un fiasco totale.
Sul tetto d’Europa nel 1979 è salito a sorpresa il Nottingham Forest di Brian Clough, relegato fino a due anni prima in seconda serie. Anche lo sfidante sudamericano è inedito: al Boca Juniors non è riuscito il filotto di tre Copas consecutive e in finale s’è dovuto piegare ai paraguaiani dell’Olimpia Asunción. I molti impegni ravvicinati (non ultima la neonata Supercoppa Europea che dal 1973 mette di fronte i vincitori della Coppa Campioni e quelli della Coppa delle Coppe) e il blasone non irresistibile degli avversari contribuiscono ad allungare la lista delle inglesi che si rifiutano di prender parte alla traversata oceanica. Chi non si lascia scappare la storica occasione sono i vicecampioni d’Europa, gli svedesi del Malmö, che però quando accettano di incontrare l’Olimpia sono già usciti dalla Coppa Uefa 1979-80 per mano del Feyenoord. Non propriamente il migliore dei biglietti da visita.
La stampa mondiale, ormai disinteressata da anni all’evento, nel 1979 lo snobba in toto. Sui giornali italiani nemmeno un trafiletto, in Europa solo i media scandinavi ne fanno menzione. Per la prima volta però anche in Sudamerica la Coppa, fino ad allora vissuta come un appuntamento unico per dimostrare di poter competere con gli inventori del gioco, non suscita grandi attese (Paraguay a parte, ovviamente). Il 18 novembre l’Olimpia s’aggiudica per 1-0 l’andata in un Malmö Stadion semideserto: non arrivano a 5 mila gli spettatori per quella che, nonostante tutto, è pur sempre una finale mondiale. Ancora da decidere è invece la data del ritorno ad Asunción: gli svedesi, che vedono ormai ridotte al lumicino le loro chances di successo, si pentono di aver accettato e continuano a rimandare. La Conmebol però insiste e alla fine si gioca il 2 marzo: più di 100 giorni dopo.
Il Decano s’impone anche in casa (2-1), in un Estadio Defensores del Chaco decisamente più gremito: in 35 mila assistono a quello che è tuttora l’unico trionfo mondiale dei paraguaiani. Ma per la Fifa quella doppia finale è la proverbiale goccia che fa traboccare l’altrettanto proverbiale vaso. Un ruolo fondamentale nel rilancio di una competizione nata sotto il segno dell’epica e ormai ridotta a farsa lo gioca la Toyota: saranno i giapponesi a fare a Uefa e Conmebol la più classica delle offerte che non si possono rifiutare. In cambio di un lauto contratto di sponsorizzazione, le due confederazioni s’impegnano nel 1980 a disputare la Coppa in gara unica al National Stadium di Tokyo, con il divieto per le finaliste di indossare maglie con sponsor diversi dalla casa automobilistica. Quest’ultima, grazie ad accordi con la Uefa, si assicura anche sostanziose penali in caso di ritiro dei club europei.
La Toyota Cup – questo il nome che competizione continuerà ad avere fino al 2005 – farà perdere ai tifosi il contatto diretto con la competizione ma ridarà lustro e regolarità al torneo. Al momento del cambio di formato le squadre sudamericane conducono per 10 vittorie a 8 e il trend a loro favorevole prosegue anche nelle prime cinque edizioni disputate sotto l’egida della Toyota (spicca su tutte un precedente di lusso della finale di stasera, amaro per i Reds). A spezzare l’incantesimo sarà nel 1985 la Juventus de Le Roi Platini, cui il tedesco Volker Roth annullerà quello che passerà alla storia come il miglior non-goal della storia del calcio. Da allora l’Europa s’è aggiudicata 23 edizioni sulle 33 disputate, anche se a partire dal 2005 il torneo ha cambiato ancora una volta nome e formato, passando definitivamente sotto il controllo della Fifa e diventando obbligatorio per i club campioni.
Perché Malmö-Olimpia resti solo un (brutto) ricordo.