A cura di Francesco Chirico
Se pensiamo al ghiaccio perenne, ci vengono in mente le calotte polari e le montagne più alte della globo. C’è altro ghiaccio che continua a vivere anche d’estate, il permafrost. Ne sentiamo parlare poco, perché sta sottoterra, nascosto. La sua perdita però, sta già creando molti danni.
Il permafrost è una particolare condizione termica del sottosuolo molto diffusa nei climi freddi che attualmente interessa circa il 25% della superficie terrestre. Per definizione il permafrost include qualsiasi substrato (terreno, detrito, roccia, …) che rimane congelato per almeno 2 anni consecutivi. [Fonte: Arpa Valle d’Aosta]
Se lo spessore è solo di un paio di metri, può capitare che durante qualche stagione estiva il Permafrost fonda del tutto, si parla allora di Permafrost sporadico. Nelle regioni artiche invece, si può osservare terreno congelato fino a 1500 m di profondità! Esiste un limite inferiore, a causa del flusso geotermico, il costante flusso di calore generato dal magma presente sotto alla crosta terrestre. Lo stesso flusso termico è il motivo per cui d’inverno la temperatura tra la neve e il terreno è di 0°, non di più (ci sarebbe acqua) e non di meno (a meno che ci sia solo un sottile strato di neve).
Fondamenta, batteri e gas serra
Finché rimane congelato, il permafrost è innocuo, neanche si nota la sua presenza. In superficie si sono sviluppati diversi ecosistemi, con flora, fauna e tutti gli equilibri preda-predatore del caso. Purtroppo il Climate Change sta iniziando ad intaccare il suolo congelato, e i primi ad accorgersene sono stati gli abitanti delle case costruite sopra al permafrost: il ghiaccio è ben più resistente della sabbia o di altri materiali, ma solo finché non fonde! Grazie all’alto calore specifico dell’acqua, non basta una giornata particolarmente calda per fondere le fondamenta delle regioni artiche. Ultimamente però, si registrano lunghi periodi con temperature ben al di sopra delle medie stagionali. Ciò fa sì che il terreno non abbia più quella struttura rigida data dal ghiaccio, e diventi morbido e plasmabile da forze esterne. Si registrano casi di abitazioni che sprofondano piano piano nel terreno, case sulla costa a cui manca letteralmente il terreno sotto ai piedi e, visibili anche da satellite, immensi nuovi laghi.
La pericolosità di questi nuovi laghi sta nel fatto che non sono fini a sé stessi, bensì parte di un ciclo potenzialmente incontrollabile. Il suolo congelato contiene batteri rimasti ibernati per millenni. Sfortuna vuole che, dopo un letargo incredibilmente lungo, questi batteri riescano ancora a riattivare il metabolismo, e a produrre…metano! Proprio uno dei peggiori gas serra.
I gas serra sono trasparenti alla radiazione solare in entrata, ma trattengono la radiazione infrarossa emessa dalla Terra. In questo modo trattengono energia nel sistema Terra, che sarebbe invece andata dispersa. Il fenomeno è noto come effetto serra, ed è fondamentale per il mantenimento della temperatura alla quale è possibile la vita sulla Terra. A partire dalla rivoluzione industriale, la CO2 emessa in atmosfera ha fatto raggiungere all’effetto serra picchi mai visti prima.
In questo modo, aumentando le temperature, aumenta il permafrost che fonde, aumenta il numero e l’estensione dei laghi, aumenta il metano prodotto dai batteri, che favorisce il climate change.. E il giro riparte! Questo è solo uno dei tanti feedback positivi del climate change! Si stima che il permafrost tenga stoccate 1700 miliardi di tonnellate di carbonio [Fonte: Le Scienze]. La nota curiosa di questo fenomeno è che spesso la superficie dei laghi è congelata, mantenendo una temperatura adatta alla vita degli organismi acquatici. Tra di loro, appaiono anche i batteri metanogeni qui protagonisti. Il metano prodotto cerca quindi di venire a galla, e forma migliaia di bolle sotto alla superficie ghiacciata. Per verificare quanto metano ci sia sotto alla superficie, esiste un metodo molto veloce, ma potrebbe essere complicato poi trascrivere i dati una volta eseguito l’esperimento:
Non solo metano: Neanderthal e influenza spagnola
Il suolo tipico del permafrost è molto ricco di organismi viventi. Questa biodiversità fa sì che in caso di cambiamenti ambientali, ci sarà sempre qualcuno con le caratteristiche adatte a sopravvivere, o che riuscirà ad adattarsi. Nei vari cicli di fusione e rigelo, sono stati intrappolati nel ghiaccio molti organismi diversi, di molte epoche diverse. Le popolazioni locali si insospettirono quando diverse persone morirono di antrace, a causa di una carcassa di renna morta di antrace 75 anni prima, e scongelata dal permafrost per l’occasione. Vari studi vennero intrapresi per studiare il fenomeno.
Furono trovati frammenti di RNA dei batteri causa dell’influenza spagnola del 1918. Nel 2005 i ricercatori della NASA (no, non progettano solo razzi per Marte) trovarono batteri di 32 mila anni fa, rimasti congelati nel permafrost, e ora tranquillamente vivi e vegeti in un lago di fusione del permafrost. Non sono gli unici e non sono i più antichi batteri scoperti ibernati e tornati attivi millenni dopo. Solo alcuni di questi organismi riescono a sopravvivere ibernati per un periodo così lungo, ma questo ci suggerisce che non si può assolutamente considerare debellato con certezza un batterio. Potrebbero tornare batteri causa di epidemie tra i Neanderthal, ma gli stessi potrebbero contenere utili informazioni per lo studio della conservazione del DNA.
Montagne di sabbia
Il permafrost, come ogni buon esploratore, cerca di raggiungere gli angoli più remoti del globo. Non solo i poli però, anche le cime più alte alle nostre latitudini. Anche se non è visibile e luccicante, il permafrost è tra noi, anche sulle vicine Alpi. Alle alte quote, le montagne sono composte da permafrost, dove il ghiaccio perenne mantiene stabili i detriti e le rocce. Il paragone più immediato è con un castello di sabbia: finché la sabbia è umida rimane su, quando si secca basta poco a far crollare tutto. Se il permafrost fonde, le pareti più iconiche delle Alpi, come i Cervino o le Dolomiti, saranno sempre più instabili. Sono già stati registrati numerosi crolli dovuti alla fusione del permafrost, e si sta lavorando alle misure preventive, grazie ai dati dei sistemi di monitoraggio.
In alta quota le creste e le pareti rocciose saranno sempre più instabili, ci saranno crolli anche nelle ore più fredde, e i canoni di sicurezza affinati negli anni dagli alpinisti andranno rivisti. Misure preventive come la chiusura dell’intero Cervino saranno all’ordine del giorno.
Visti i problemi causati dalla fusione del permafrost e il ciclo di eventi che si potrebbero scatenare in seguito, l’attenzione della comunità scientifica verso il permafrost sta aumentando. L’organizzazione meteorologica mondiale (World Meteorological Organization – WMO) ha inserito la temperatura del permafrost e lo spessore dello strato attivo tra le Essential Climate Variables (ECV) ovvero le variabili essenziali per valutare gli impatti dei cambiamenti climatici a livello globale. [©ARPA Valle d’Aosta]
Non è semplice modellare il cambiamento climatico, sia perchè i modelli matematici non sono ancora in grado di descrivere nel dettaglio questi fenomeni, sia perché molti dei feedback dei cambiamenti climatici non si immaginano ancora. I batteri che tornano a vivere attivamente dopo migliaia di anni, le montagne che si sgretolano e le bolle di metano intrappolate nei laghi sono solo alcuni dei feedback legati al permafrost, e possono a loro volta creare altre catene di fenomeni.