L’opera d’arte assoluta, una volta realizzata, assorbe in sé l’artista. In musica questo principio si mostra con chiarezza adamantina: Bob Dylan, per i più, è Knockin’ on Heaven’s Door, Beethoven è L’inno alla gioia, Vivaldi si fa stagione, Chopin notturno. Succede agli attori con lo stigma di inscenare il ruolo del cattivo, è successo perfino a Cremonini, costretto a vagare per l’eternità «sui colli bolognesi con una vespa sotto i piedi».
Ebbene, se tutto questo è vero, cosa è successo a Piero Manzoni? Nel 1961 questo simpatico nobile paffutello è stato così bravo da trasformarsi in una merda. Non sottovalutate però: diventare qualcosa, anche uno stronzo, è difficile e richiede uno sforzo notevole.
Questo ritorno edipico al proprio colon artistico, questa lunga via che ha portato Manzoni a merdificarsi e a inscatolarsi come un tonno, è solo la punta dell’iceberg di un gorgoglio che ha rumoreggiato nell’arte contemporanea sin dalla sua nascita che, guarda caso, è stata segnata da un orinatoio.
Dall’oggetto della minzione del bravo Duchamp, alla scatola della defecazione: evidentemente il buon Piero cercava una forma del ready made più solida e consistente. Nella sua breve carriera, perché ovviamente è morto giovane, Manzoni ha scopiazzato con candore e ironia, ma con minute variazioni sul tema: fece il contrario di Klein, usò le modelle come tela, e non come pennello, preparò anche lui monocromi, questa volta bianchi e non blu; Duchamp imbottigliava l’aria di Parigi? Ecco Piero soffiare in palloncini, e puf! Nasce il Fiato d’artista.
Hermann Hesse ha scritto «anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno». L’orologio scopiazzante e caciarone di Manzoni ha segnato l’ora giusta per sbaglio proprio due volte: una prima volta, come si è appena detto, dopo il caffè e la sigaretta, e una seconda, quando appoggiò a terra un piedistallo con la scritta a testa in giù «Socle du monde», il “piedistallo del mondo”.
Si tratta dell’ennesima burla, portata però oltre i confini del comico e dell’ironico. Qui abbiamo il segreto della funzione didascalica ed espositiva: basta un piedistallo, una didascalia e una firma, e tutto il mondo diviene opera. Opera divina? No, opera d’arte di tal Piero Manzoni, Milanese, fumatore e godereccio, pronipote del più blasonato e noioso Alessandro.
Il prestigiatore ha mostrato le carte truccate, ha aperto per sbaglio il doppiofondo, gli è scappato il coniglio e i fiori gli sono caduti dal taschino. Piero Manzoni ha venduto come opere d’arte Achrome, tele bianche coperte di gesso, uova sode, marchiate da un’impronta digitale, che venivano poi offerte al pubblico; ha venduto linee, o scatole contenenti testimonianze di linee infinite, ha firmato corpi umani definendoli Sculture viventi; ha insufflato e venduto palloncini, ha venduto scatole sigillate che, presumibilmente, avrebbero dovuto contenere le sue feci.
Come al solito, il parossismo svela in modo semplificato il metodo utilizzato: le opere di Piero Manzoni ci mostrano con chiarezza alcuni dei procedimenti più significativi, e ormai classici, dell’arte contemporanea. Il potere della firma, del contesto e dell’esposizione pubblica, il ruolo liturgico dell’artista e la relativa possibilità di trasformare qualsiasi artefatto, umore o persona in un’opera.
Il ready made è finito, la Terra è opera di Piero Manzoni, un artista “di merda” che ha fatto del mondo intero un’opera d’arte.