Nel primo appuntamento della rubrica che indaga i diversi volti del re del crimine della nostra epoca abbiamo avuto modo di vedere come le organizzazioni criminali internazionali, e più specificamente quelle di tipo mafioso, ricoprano una posizione egemone all’interno del panorama criminale globale. Il grado di espansione dei traffici illeciti e di chi ci lucra ha raggiunto da tempo lo stadio sovranazionale e, precisamente grazie a questa nuova dimensione, i margini del profitto criminale vantano oggi proporzioni inimmaginabili.
Eppure, nonostante i vantaggi che offre un mondo sempre più aperto e globalizzato, non esiste gruppo criminale che abbia rinunciato alla gestione diretta della propria realtà locale, sia essa rappresentata dalla madrepatria o dal nuovo habitat d’adozione. A ben vedere, proprio la biunivocità tra dimensione globale e controllo locale costituisce uno dei pilastri su cui è andata a fondarsi l’attuale posizione di dominio delle mafie.
Assimilando in maniera efficiente le caratteristiche della modernità, le élite criminali di tutto il mondo si sono affacciate alla globalizzazione mantenendo ben saldo il governo del territorio di origine e/o di espansione. Essenziale per la conservazione del potere, la dimensione territoriale rappresenta infatti la base su cui costruire la condizione permanente della forza e del mito mafiosi, nonché il trampolino da cui gestire materialmente le attività commerciali sparse per il mondo.
Nella geopolitica criminale, quindi, locale e globale non sono in contrasto ma convivono e si completano a vicenda.
Nel 1997, nel pieno del processo di affermazione della globalizzazione, un sondaggio del quotidiano “Il Mattino” chiedeva ai napoletani se fosse vero che la Camorra avesse sostituito lo Stato nel controllo di alcune zone della città: il 70% degli intervistati, sorprendentemente, confermò. Un dato che sembra confermare l’ipotesi secondo cui le élite criminali più importanti, per quanto espanse su scala globale, non intendono rinunciare al monopolio del potere all’interno del proprio locus d’origine.
Un altro esempio della natura biunivoca delle mafie, locale e globale insieme, è rappresentato dall’affluenza che riscossero i funerali di Benny Ong nel 1994 a New York. Capo delle Triadi e figura moderatrice di primissimo piano all’interno del mondo criminale cinese, al momento dell’ultimo saluto il suo feretro era «circondato da abbastanza fiori da coprire gran parte di Manhattan», scriveva il New York Times il mattino seguente. L’intera Chinatown della Grande Mela, su cui il padrino aveva esercitato per anni la propria influenza, accompagnò il corteo funebre con oltre un centinaio di auto, bloccando per ore le strade della città. L’esperienza di Benny Ong dimostra come anche le Triadi cinesi ritenessero fondamentale il controllo della dimensione locale. A migliaia di chilometri di distanza dalla madrepatria hanno infatti voluto replicare il medesimo controllo e legame territoriale, ottenendo ugualmente dalla nuova realtà rispetto, obbedienza e guadagni.
Si potrebbe dire che le mafie applichino alla perfezione lo slogan, tipico della nostra epoca, che recita ‘think global, act local‘, dimostrandosi ancora una volta precursori del proprio tempo.
L’origine di questo motto è da ricercare nel mondo dell’attivismo ambientale, nello specifico nel pensiero del biologo, urbanista e attivista sociale scozzese Patrick Geddes, il quale già dalla seconda decade del Novecento si batteva perché governi e individui si comportassero a livello locale in maniera tale da salvaguardare la salute del pianeta. L’intento di Geddes era quello di legare insieme due dimensioni territoriali, quella locale e quella globale, partendo dal presupposto che il bene dell’una non potesse prescindere da quello dell’altra. Principio questo, che le mafie hanno ripreso e distorto a proprio piacimento.
A differenza degli stati-nazione infatti, la criminalità organizzata ha saputo risolvere la dicotomia tra locale e globale, superando la visione che intende la territorialità come sinonimo di staticità e concependo il territorio come un’entità fluida e malleabile, l’habitat perfetto per un animale glocale per l’appunto. Ha seguito i flussi migratori del passato e le rotte commerciali del futuro per colonizzare regioni lontane migliaia di chilometri dalla propria area di appartenenza e, come vere e proprie multinazionali del crimine, hanno fondato sedi satellite in giro per il mondo, senza scordare da dove venissero.
Le mafie hanno fatto tutto ciò applicando il principio di Geddes, reinterpretandolo secondo i propri interessi criminali. Già, perché se lo studioso scozzese spronava ad agire responsabilmente sul proprio territorio con l’intento di salvaguardare l’ambiente globale, per le mafie ‘think global, act local‘ significa controllare, sfruttare e monopolizzare il proprio ambiente di competenza, guardando al pianeta come ad una risorsa da spremere, più che da salvaguardare.
Il
risultato, tanto a livello locale quanto mondiale è, ahinoi, il disastro
sociale, economico ed istituzionale sotto ogni punto di vista.