Nel 1999 le Nazioni Unite hanno scelto il 25 novembre come giornata per l’eliminazione di ogni forma di violenza sulle donne.

La data del 25 novembre è stata scelta in ricordo delle tre sorelle della Repubblica Dominicana che combatterono la dittatura di Rafael Leónidas Trujillo e furono uccise nel 1960: Patria Mercedes, María Argentina Minerva e Antonia María Teresa Mirabal.

In occasione della ricorrenza, Medici Senza Frontiere (MSF) apre a Milano in via San Barnaba, 48 dal 25 al 30 novembre la mostra fotografica “Violenza al platino” un progetto realizzato nelle miniere sudafricane dal fotografo Bruno Zanzottera dell’agenzia Parallelozero e dalla giornalista africanista Valentina Giulia Milani con MSF.

Siamo andati alla Società Umanitaria di Milano a intervistare gli autori della mostra fotografica a Rustenburg (Johannesburg) in Sudafrica, zona conosciuta come Platinum Belt, dove si estrae il più grande quantitativo al mondo di platino, utilizzato nell’oreficeria, nell’odontotecnica e nelle apparecchiature da laboratorio.

Manifestazione a Pretoria contro la violenza sulle donne. Il Sudafrica ha un tasso di femminicidi quasi sei volte superiore alla media mondiale. Secondo un recente rapporto del Medical Reserch of South Africa, nel paese ogni 36 secondi una donna subisce aggressioni sessuali e un uomo su quattro ha commesso un reato sessuale. © Bruno Zanzottera Parallelozero

«Il nostro progetto nasce dalla volontà di capire come mai in Sudafrica si verifichi uno dei più alti tassi di violenza sulle donne al mondo». Ci racconta Valentina Milani. Qui il tasso di femminicidi è infatti quasi sei volte superiore alla media mondiale. Nel Rustenburg, dove il crollo del prezzo del platino ha aggravato il già critico contesto sociale causando un picco di violenze, si registrano oltre 12.000 stupri ogni anno (meno del 5% si rivolgono a una struttura sanitaria).
«Ci siamo recati sul campo e abbiamo lavorato con MSF, che dal 2015 ha avviato dei programmi specifici contro la violenza sulle donne. In Sudafrica c’è una grave carenza sanitaria. Abbiamo visto una forte correlazione tra l’attività estrattiva mineraria e la violenza sulle donne perché le condizioni sociali dei lavoratori sono alienanti, con moltissime ore di lavoro, sottopagati, molti consumano alcolici e questo si trasforma in violenza. Il 16 agosto 2012 durante una manifestazione dei minatori la polizia ha aperto il fuoco a Marikana, uccidendo 34 lavoratori e ferendone altri 78».

«Povertà e alcolismo non possono essere utilizzati come giustificazioni» -Interviene Bruno Zanzottera, fotografo e fondatore di Parallelozero – «ma portano a degrado sociale. Le multinazionali quando si insediano nel territorio non pensano minimamente al benessere della popolazione locale. Alcune donne lavorano all’interno delle miniere estrattive ma non è un’occasione di riscatto o una possibilità di indipendenza. Una ragazza è stata licenziata mentre eravamo lì per il suo impegno di attivista nelle proteste contro le condizioni di lavoro e una ha subito violenze all’interno del complesso minerario. Quando è andata dai sindacati a denunciare il fatto, quelli che dovrebbero essere i rappresentanti dei lavoratori le hanno posto ricatti sessuali».

Phathiswa Nyhba nella sua casa di una sola stanza nell’insediamento di Meryking. Lo scorso anno venne malmenata, insultata e licenziata dalla miniera in cui lavorava. Il rappresentante sindacale che avrebbe dovuto difenderla le chiese in cambio dei favori sessuali © Bruno Zanzottera Parallelozero

«Intorno alle miniere di platino crescono le baraccapoli, i compounds. Abbiamo visitato Sondela – continua Valentina Milani – letteralmente “vieni più vicino”.
Il nome deriva dalle case delle prostitute che costruiscono le loro baracche il più vicino possibile alle miniere. La violenza diventa parte integrante della quotidianità, in Sudafrica una donna subisce violenza ogni 36 secondi.
La mancanza di strutture sanitarie statali e di autorità a cui dencunciare le violenze si somma alla vergogna e alla paura di ritorsioni. Le donne si rivolgono più facilmente ai curatori – autorità locali più accessibili e vicine alla loro cultura».

Il fotografo Bruno Zanzottera, la dott.sa Claudia Lodesani, la vicepresidentessa della Società Umanitaria Marzia Oggiano e la giornalista Valentina Giulia Milani all’inaugurazione della mostra Violenza al Platino il 25 novembre 2019.

«I numeri sono importanti ma sono freddi. Dietro ogni numero c’è una persona, dietro ogni persona c’è una storia. Noi vogliamo andare oltre e occuparci delle storie e delle persone». Si esprime così la dott.ssa Claudia Lodesani, infettivologa e presidentessa di MSF. «In Italia vengono fatte 88 denunce al giorno per violenza contro una donna. Se possono apparire tante è perchè non si pensa che questo è solo ciò che viene denunciato. Quando parliamo di questo fenomento non intendiamo solo lo stupro, ma anche le mutilazioni genitali, la violenza fisica, quella verbale. Il significato della violenza cambia a seconda del contesto sociale. Dalle mie esperienze in Congo è chiaro come lo stupro sia un’arma di guerra, soprattutto nei cosiddetti “conflitti a bassa intensità”, ovvero in cui non avvengono bombardamenti. Qui il prezzo che pagano le donne, le più vulnerabili, è altissimo».

Bridjette Monogi nella casa della nonna a Jericho dove si è trasferita con i suoi 2 figli dopo essere stata violentata da 2 individui mentre tornava a casa. Dal 2015 MSF offre supporto medico e psicologico alle vittime di violenza nell’area del Rustenburg in Sudafrica. La violenza sulle donne è una piaga in molte situazioni di crisi, dove diventa arma di guerra e strumento di controllo sociale.© Bruno Zanzottera Parallelozero

Durante la presentazione è stato mostrato il video Guidare il cambiamento con l’intervista a Lebogang Seketema, uno degli otto autisti che lavorano nel progetto di MSF a Rustenburg.
Lebogang racconta la sua esperienza con la violenza subita dalla sorella a soli nove anni e il ruolo fondamentale che gli autisti di MSF svolgono per le vittime. Sono loro infatti i primi a entrare in contatto con le donne e accompagnarle ai centri. «Formare il personale locale è fondamentale per noi di MSF» prosegue la dott.sa Lodesani «oltre all’assistenza sanitaria e psicologica a chi subisce violenza e alle attività che vengono loro offerte – dalla peer education ai laboratori – la sensibilizzazione è fondamentale.
Il nostro problema è di approcciare le donne e portarle nei nostri centri, fare in modo che si fidino di noi. Per farlo cerchiamo di lavorare a partire dall’educazione dei ragazzi nelle scuole – le violenze sono diffuse anche tra giovanissimi – nei centri di salute e se possibile nelle comunità, entrando in contatto con i capi villaggio e le matrone, il compito più difficile».

La mostra sarà aperta dal 25 al 30 in novembre presso la Società Umanitaria di Milano, Via San Barnaba 48, dalle 9 alle 20. In seguito si sposterà per altre città italiane.

MSF è un’organizzazione medico-umanitaria internazionale indipendente fondata nel 1971. Oggi fornisce soccorso medico in più di 70 Paesi a popolazioni la cui sopravvivenza è minacciata da conflitti armati, violenze, epidemie, disastri naturali o esclusione dall’assistenza sanitaria. Nel 1999 ha ricevuto il premio Nobel per la Pace. Dal 2015 MSF offre supporto medico e psicologico alle vittime di violenza in Rustenburg, in particolare il trattamento preventivo contro le malattie sessualmente trasmissibili, vaccinazioni contro tetano ed epatite B, trattamento delle lesioni fisiche e prevenzione di gravidanze indesiderate a seguito degli stupri.
Nel corso del 2018 MSF ha assistito 24.900 vittime di violenza sessuale negli oltre 70 paesi in cui opera.