Ci eravamo lasciati a Madrid, con il mitico Santiago Bernabéu a ospitare una storica Superfinal tra Boca e River dopo un’andata alla Bombonera rinviata per pioggia e un ritorno al Monumental annullato causa scontri. Allora, tra un ritardo e l’altro, la finale durò più di un mese; stavolta, con la nuova regola della gara unica introdotta a partire da quest’anno, si deciderà tutto in una notte. O meglio, in un pomeriggio. Saranno infatti le 15 a Lima quando l’arbitro cileno Roberto Tobar darà il fischio d’inizio di Flamengo – River Plate. Una finale inizialmente prevista all’Estadio Nacional di Santiago ma poi dirottata in Perù a causa della situazione critica in cui versa il Cile. Si giocherà quindi nel tempio del calcio peruano, quell’Estadio Monumental il cui nome al River Plate non può che evocare dolci ricordi. Mai, però, i Millonarios avevano disputato una finale di Libertadores contro un club brasiliano.
Il Flamengo allenato dal portoghese Jorge Jesus (ex di Benfica e Sporting Lisboa) è a un passo da una vittoria in campionato che manca da dieci anni. Mai quanto la Copa, comunque: quella ai rossoneri di Rio manca da ben 38 primavere. L’ultima risale agli anni magici di Zico, autore di tutte e quattro le reti siglate dai brasiliani nella tripla finale contro i cileni del Cobreloa. Con Jesus il club carioca ha messo in piedi una squadra solida e molto “europea”: anche grazie alle cessioni dei promettenti Vinicius Júnior al Real Madrid e Lucas Paquetá al Milan, il Flamengo si è potuto assicurare calciatori esperti reduci da una carriera ad alti livelli nel vecchio continente come i 34enni Diego Alves, Filipe Luís e Rafinha, insieme all’ex City Pablo Marí e all’ex Roma Gerson. Non l’unico ex “italiano” in rosa: il capocannoniere del campionato e della Libertadores risponde infatti al nome di Gabigol.
Ancora formalmente di proprietà dell’Inter, Barbosa è, insieme al compagno di reparto Bruno Henrique, il vero mattatore della stagione rossonera: insieme hanno messo a segno 40 goal in campionato e 12 in Libertadores. Alle loro spalle il trequartista uruguagio Giorgian De Arrascaeta si alterna a un altro “grande vecchio” di ritorno dall’Europa, il 34enne ex Juve Diego. Una formazione spiccatamente offensiva (il 5-0 inflitto al Grêmio nella semifinale di ritorno è stata una straordinaria prova di forza) ma allo stesso tempo solida e ordinata in difesa, grazie all’esperienza degli “europei”. Con i campioni in carica del River, però, ci sarà da sudare: in Sudamerica sono in molti a considerare la Banda di Gallardo el mejor equipo de la historia del continente. Da quando è arrivato Napoleón, il River sembra sappia solo vincere: tre trofei nazionali e sette internazionali in 5 anni.
Al contrario di Jesus, Gallardo non può contare su nomi già affermati in Europa ma è riuscito in questi anni a valorizzare il settore giovanile (Exequiel Palacios e Gonzalo Montiel su tutti) e a intuire le potenzialità di calciatori finiti ai margini del calcio sudamericano (dal portiere argentino Franco Armani fino al trequartista colombiano Juanfer Quintero), adattandosi di volta in volta ai repentini cambi di rosa dettati dal mercato. Sarà futebol contro fútbol, quindi, ma anche gioco “all’europea” contro gioco “alla sudamericana”. Sarà Gabigol contro Santos Borré, Jorge Jesus contro Marcelo Gallardo, Diego Alves contro Franco Armani. Ma sarà soprattutto Brasile contro Argentina. O meglio ancora: Rio de Janeiro contro Buenos Aires, le due metropoli simbolo del Sudamerica divise da alterne fortune sui campi di calcio. Tredici le coppe sbarcate a Baires, solo due finora quelle di Rio.
L’ultima risale al secolo scorso: era il 1998 e il Vasco da Gama trascinato da Luizão si sbarazzò proprio del River Plate in semifinale prima di schiantare con quattro goal in due partite gli ecuadoriani del Barcelona. Dopo aver perso nel 1960 lo status di capitale politica del Paese, Rio non è riuscita a riconquistare nemmeno quello di capitale del futebol: le quattro grandi della città – Flamengo, Vasco da Gama, Fluminense e Botafogo in ordine cronologico di fondazione – vincitrici da sole di 9 campionati regionali su 10, devono fare i conti con lo strapotere di São Paulo sia su scala nazionale sia a livello continentale: tutte pauliste – Palmeiras, Santos, Corinthians e São Paulo – sono le quattro squadre più titolate del Brasileirão, mentre nell’albo d’oro della Libertadores l’ex capitale è stata superata anche da Porto Alegre (Grêmio e Internacional) e Belo Horizonte (Cruzeiro e Atlético Mineiro).
Tutt’altro discorso per Buenos Aires, il cui status di capitale – politica, economica e calcistica – non è mai stato in discussione: più di due argentini su cinque vivono nella sua area metropolitana, che produce anche il 60% dell’intero Pil nazionale. Se si passa al fútbol, poi, l’etichetta di capitale si può estendere senza problemi all’intero continente. Nessuna città in tutta l’America latina ha vinto quanto Baires: anche senza includere nel computo i sobborghi di Avellaneda e La Plata, la capital federal è prima per vittorie tanto in Libertadores (13, appunto), quanto in Sudamericana (6) e Intercontinentale (5). Un dominio che negli ultimi 5 anni ha visto il River Plate sostituirsi al Boca Juniors e che ora il Flamengo tutto “europeo” di Jorge Jesus vuole provare a interrompere: quale occasione migliore della prima finale della storia tra una squadra di Buenos Aires e una di Rio?