Franco era un dittatore crudele e nello stesso tempo mediocre.
Non era un dittatore teatrale come Mussolini o Hitler
[Manuel Vazquez Montalbán, Io, Franco, 1992]
È difficile quantificare con precisione le violenze della guerra civile spagnola. Nel triennio 1936-39 si è stimato che ci siano stati circa 500.000 caduti tra civili e membri dei due schieramenti, quello repubblicano e quello nazionalista. Pressoché indecifrabile è il costo in termini di vite umane nei 36 anni di dittatura che comprendono repressione e reazione al franchismo. Al computo approssimativo di 150.000 vittime si devono aggiungere la guerriglia dei maquis e dell’Eta – il cui primo omicidio è datato 1968, ma la cui azione più clamorosa è l’Operación Ogro, l’attentato che nel 1973 uccise l’allora Presidente del Governo ed erede designato del Caudillo, Luis Carrero Blanco – ma soprattutto una serie di violazioni di diritti umani da parte del franchismo a più livelli sociali.
Le donne subirono la repressione di genere di un paese in cui il Codice Civile affidava all’uomo la jefetura, l’autorità suprema. «El niño mirará al mundo, la niña mirará al hogar», “il ragazzo guarderà il mondo, la ragazza la casa” recitava un libro di pedagogia del 1942. Ci sono le violenze inferte alle centinaia di migliaia di prigionieri di guerra repubblicani, rinchiusi nella galere franchiste. E inoltre il caso dei niños robados, i circa 300.000 figli sottratti sistematicamente a oppositori e repubblicani e dati illegalmente in adozione alla nascita per essere educati ai valori «di Dio e della patria» – una pratica storica del nazionalcattolicesimo spagnolo fatta propria dal franchismo e perpetrata fino agli anni ’90.
Vite spezzate, identità perdute, famiglie divise, corpi devastati, ma il Caudillo è passato indenne alla guerra civile, alla scampata Guerra Mondiale, all’Eta ed è giunto alla conclusione naturale dei suoi giorni. Si è spento nel suo letto nel Palazzo Reale de El Pardo, a pochi giorni del compimento del suo 83esimo anno d’età, per un’insufficienza cardiaca dopo una lunga malattia. Lasciò la sua Spagna, «una, Grande y Libre», in apparente ordine: due giorni dopo la sua morte Juan Carlos I di Borbone venne infatti proclamato Re di Spagna.
«Franco è stato un dittatore mediocre» commenta Javier Muñoz Soro, professore presso il dipartimento di Storia, Teorie e Geografia Politica della facoltà di Scienze Politiche e Sociologia dell’Università Complutense di Madrid. Dopo di lui, la Spagna iniziò un lento processo di Transizione all’insegna di due parole chiave: Olvido y Reconciliación: «Il franchismo ha alimentato per trent’anni un discorso della vittoria, l’Olvido, voluto anche dalla sinistra per dimenticare la guerra civile, e una retorica di Reconciliación come slogan di successo. Una parte di verità e una di falsità».
Nei suoi 36 anni di dittatura pose con enfasi l’accento sull’Orden y Estabilidad ripristinata grazie all’Alzamiento, la sollevazione dei militari che diede il via alla Guerra Civil. Rispetto al Duce o al Führer, il Caudillo parve curarsi molto meno dell’ideologia: più che fascista, che certamente cercò di essere, fu reazionario. Fare il deserto e chiamarlo pace: la massimo di Tacito si adatta bene alla politica franchista.
In questi giorni in cui è tornato al centro del dibattito nazionale, gli spagnoli chiamano i suoi resti mortali momia, la “mummia”. Se una morte per nulla eroica colse il Caudillo, ad accogliere la sua mummia è stato invece adibito un monumento spettacolare che l’ha custodito fino al 24 ottobre del 2019: la Valle de los Caidos.
I lavori iniziarono nel 1940, su volontà esplicita di Franco. «Redención por penas de trabajos, diminuzione degli anni di condanna coi lavori forzati. Circa 20.000 prigionieri repubblicani furono “assunti” dalle imprese incaricate della costruzione del monumento, che avevano in carico i costi per l’alimentazione e la retribuzione dei lavoratori: 2 pesetas al giorno, un settimo della retribuzione media di un operaio non specializzato dell’epoca. Le fonti ufficiali riconoscono 70 operai morti durante i lavori – ma sono dati contestati – mentre è certo che la promessa della libertà in cambio del trabajo fu un’illusione» continua il professor Muñoz Soro.
La Basilica è stata inaugurata nel 1959 per onorare la morte di Jose Antonio Primo de Rivera, l’ideatore della Falange Española morto invece eroicamente, fucilato dai repubblicani il 20 novembre 1936 – ironia della sorte, stesso giorno in cui morirà il Caudillo. Consiste in una basilica benedettina, con quattro enormi monoliti di granito alti 11,5 metri e la croce più alta del mondo cristiano: 150 metri di altezza.
Nella Valle de los Caidos risiedono anche 33.872 morti, di entrambi gli schieramenti. «Seguendo lo slogan della Reconciliación, Franco voleva rendere il monumento un sacrario per tutti i caduti, riconoscendo anche le perdite del fronte repubblicano. Per farlo, le fosse comuni dei caduti repubblicani vennero rivoltate, con la complicità dei sindaci locali, per destinare i corpi al riposo all’ombra della croce. Questo processo continuò fino al 1983».
Le salme repubblicane che qui riposano non hanno tombe, non hanno nomi, non hanno pietre su cui i cari possano andare a piangere i caduti. Dagli anni ’80 le famiglie dei caduti repubblicani hanno provato – prima privatamente, poi costituendosi parte civile in una serie di processi – a chiedere allo Stato di esumare i cadaveri dei propri cari per potergli dare degna sepoltura. La prima sentenza positiva a riguardo è del novembre di quest’anno. Ad alcune famiglie di Catalayud è stato concesso di procedere al riconoscimento di otto combattenti morti nel 1936. Il medico forense Francisco Etxeberria – famoso per aver riconosciuto il cadavere di Franco, oltre a quello di Salvador Allende e di Pablo Neruda – in seguito a questa sentenza, ha espresso la propria preoccupazione sulla possibilità di identificare i corpi sepolti nelle fosse comuni. Es muy difícil, pero hay que intentarlo.
«È molto difficile, ma dobbiamo provarci» è un mantra dei tentativi della società spagnola di fare i conti con la propria dittatura. L’accordo politico tra vincitori e vinti, a ruoli invertiti rispetto al caso italiano, ha definito le tappe del nuovo corso democratico del paese. «La Ley de Amnistia del 1977, votata anche dalla sinistra, è una base per provare a superare il passato, non certo per farci i conti. I concetti di giustizia di transizione – in base alla quale stabilire punizioni per le colpe del regime passato e soprattutto ricompense per le vittime – e di memoria collettiva – con cui delineare l’immaginario identitario della nuova nazione, sulla base delle esperienze del passato – non erano all’ordine del giorno per il processo di democratizzazione della Spagna tra il 1975 e il 1982».
Era più importante cercare la concordia tra vittime e carnefici. Lasciando la polvere della dittatura sotto il tappeto. «Perseverando nell’olvido, necessario all’affermazione del nuovo corso democratico del paese. Furono gli anni ’90 a portare i primi veri cambiamenti nella società spagnola: iniziarono i movimenti civili di recuperación delle salme, l’accusa del giudice spagnolo Baltasar Garzón per crimini contro l’umanità al dittatore argentino Pinochet, l’arrivo nella società dei discorsi sulla memoria storica, l’importazione dei concetti di Justicia Transicional dal Cile e dall’Argentina, la presa al potere del centro destra nel 1996, i giochi olimpici di Barcellona del 1992 e l’Expo. C’è voluto un passaggio generazionale perché alla volontà di dimenticare iniziasse a far spazio una rielaborazione della dittatura. Franco ha trattato molto male la democrazia ma la democrazia ha trattato molto bene Franco» prosegue il professor Muñoz Soro.
«Mentre i movimenti di ultradestra in Italia e in Ungheria hanno radici differenti rispetto alle dittature che hanno governato i paesi precedentemente, in Spagna un filo diretto collega il franchismo a partiti tutt’ora in Parlamento: il Pp e soprattutto Vox che alle ultime elezioni è arrivato al 14%. Il partito di Santiago Abascal, orgoglioso erede di un sindaco franchista, ha definito l’esumazione del cadavere di Franco “una profanazione”. La società spagnola si divide tra un franchismo sociologico, benevolente verso la dittatura e giovani che vedono nell’esumazione di Franco l’occasione per scambiarsi meme e battute»; una banalizzazione che non approfondisce il dibattito ma segna la distanza che rimane rispetto ad un’analisi di ciò che accadde.
Dopo l’esumazione di Franco il 24 ottobre 2019, con susseguente trasferimento della salma a El Pardo Mingorrubio – ad una decina di chilometri dal centro di Madrid – resta ora aperta la questione Valle de los Caidos. L’unico mausoleo costruito da un dittatore in vita e che gli è sopravvissuto – se escludiamo le piramidi dei faraoni – il monumento rimane, visibile da ben 40 km di distanza. Da un lato c’è chi vorrebbe preservarlo come opera artistica e religiosa, dall’altro chi vorrebbe abbandonare la costruzione al proprio destino. Senza rispetto o dignità per chi vi riposa, pur senza un nome.
L’unica possibilità rimane quella della resignificación: l’attribuzione di un nuovo valore, rendendo il monumento un luogo della memoria. «Non può essere un luogo di riconciliazione, è stato un campo di lavoro, bisogna costruire un museo per spiegare la dittatura e le centinaia di migliaia di morti durante la guerra».
Reinterpretando le parole stesse di Franco, la Valle de los Caidos può essere il luogo della presa di coscienza delle tappe che hanno condotto alla fuoriuscita da un passato difficile da dimenticate. Solo attraverso la memoria collettiva, si possono superare ferite e divisioni della guerra civile e della dittatura. Forse anche grazie alla “mummia” di Franco.
Ringraziamo il professor Muñoz Soro che ci ha concesso l’intervista e per gli spunti e le preziose conoscenze che ha condiviso con noi.
Per chi volesse approfondire ecco alcune fonti interessanti citate nel corso della nostra chiacchierata:
- Despues de.. è un documentario girato tra il 1979 e il 1980 da Jose Juan e Cecilia Bartolomè che tratta della transizione alla democrazia ed è in larga parte girato nella Valle de los Caidos, si divide in due parti:
– No se os puede dejar solos
– Atado y bien atado - Nicolás Sánchez-Albornoz, la testimonianza di un prigioniero repubblicano scappato dai lavori forzati alla Valle de los Caidos parla della risignificazione del monumento.
- La verdadera historia de la Valle de los Caidos, Daniel Suero, 1976
- Memoria y olvido de la guerra civil española, Paloma Aguilar Fernández, 1996