¡ Quieto todo el mundo !

Il 23 febbraio 1981, ben oltre il consueto orario della siesta, la Spagna vede materializzarsi un incubo a occhi aperti. Alle 18.23, mentre si sta votando per eleggere il primo ministro, questa frase secca squarcia la cerimoniosità del Palacio de las Cortes. Circa duecento membri della Guardia Civil, guidati dal tenente colonnello Antonio Tejero, irrompono nel parlamento spagnolo. È con ogni probabilità l’unico caso della storia in cui un golpe viene ripreso dalle telecamere parlamentari: verrà trasmesso in differita dalle televisioni nazionali il giorno dopo.

«Fermi tutti!». La stampa britannica lo definisce una «pantomima» e, col senno di poi, certamente il fallito colpo di stato può essere derubricato a “golpe blando“, quando non addirittura ridicolo, insieme ai suoi partecipanti. Ma quella frase autoritaria, pronunciata in un giorno non casuale, in quell’istante paralizza un’intero paese. Le diciotto ore che seguono – tanto durerà il maldestro golpe del tenente colonnello Tejero – sanciscono uno spartiacque nella storia spagnola. I buchi dei proiettili, a tutt’oggi volutamente visibili nel tetto del Salón del Congreso, sono lì a testimoniarlo.

Quello del Colonnello Tejero è con ogni probabilità l’unico tentativo di colpo di stato della storia ripreso dalle telecamere in diretta televisiva – Youtube

In quegli istanti incerti, il sibilo dei proiettili e gli ordini dei golpisti cercano di imporre il silenzio alla fragile democrazia spagnola, in un giorno cruciale nel suo giovane percorso. I deputati, quel 23-F, sono chiamati a votare la fiducia al successore di Adolfo Suarez, il padre della transizione dal franchismo, alla base della quale c’è un compromesso storico. Sono passati sei anni dalla morte di Franco, cinque dal Referendum che ha sancito il passaggio dalla dittatura alla democrazia e tre dalla promulgazione della Costituzione che ha reso la Spagna una monarchia parlamentare. E sempre tre anni prima nella vicina Italia il presidente del partito di maggioranza era stato rapito, anche in quel caso nel giorno in cui il Parlamento era chiamato a votare la fiducia a un nuovo esecutivo.

È il nostro incubo, il punto in cui convergono tutti i demoni del nostro passato recente. Come in Italia può essere l’assassinio di Aldo Moro o negli Stati Uniti l’omicidio di Kennedy

afferma in un’intervista al Sole 24 Ore Javier Cercas, professore universitario e scrittore spagnolo che nel 2009 ha pubblicato un romanzo storico sul 23-F 1981: Anatomia di un istante.

El abrazo delle 14.33 del 12 novembre tra Pedro Sanchez, ex e probabile prossimo premier spagnolo del Psoe, e Pablo Iglesias, leader di Podemos – DAVID CASTRO /EFE VÍDEO

¡ INQUIETO todo el mundo !

Trentotto anni dopo, la mattina dell’11 novembre 2019 la Spagna si è svegliata confusa.
Il giorno dopo, alle 14.33 di quello che per noi è un primo pomeriggio – mentre in Spagna è ancora considerabile orario prandiale – il Paese ha tirato un sospiro di sollievo, almeno apparente. La seconda elezione in sette mesi, la quarta in quattro anni, non ha sortito l’effetto che il premier Pedro Sanchez auspicava. Ma l’abbraccio tra il leader socialista e quello di Podemos, Pablo Iglesias potrebbe condurre al superamento di una crisi istituzionale che nel paese va avanti da ben più di quattro anni.

Nel paese degli alfanumeri (in questi giorni, più che di 23-F, si è parlato di 28-A e 10-N, le date delle due elezioni generali del 2019) il 15-M è uno spartiacque fondamentale. Il 15 maggio 2011, infatti, iniziarono le proteste di piazza che dettero vita all’esperienza dei cosiddetti Indignados, il movimento di mobilitazione dal basso contro l’allora governo Zapatero II, che il 28 luglio di quell’anno – attanagliato dalle difficoltà politiche dettate anche dalla crisi economica – rassegnava le dimissioni. Con le proteste madrilene del maggio 2011, è iniziato un decennio di transizione che ha sovvertito gli equilibri politici spagnoli e non è sembrato concludersi con il ritorno al governo dei socialisti nel 2018. La Spagna continua a vivere uno stallo.

Nella crisi decennale della politica tradizionale spagnola si possono riscontrare i crismi di una tendenza continentale. In tutta Europa, come a Madrid, crescono populisti e partiti di destra, mentre scendono progressisti e sinistre; anche in Spagna, come in quasi tutti gli altri 27 paesi dell’Ue, i movimenti populisti si sono via via trasformati in forze di governo portando al ridimensionamento di partiti tradizionali che costituivano l’ossatura del bipolarismo. Per arrivare alla cronaca di questi giorni, anche antefatti ed esito del voto di domenica hanno profonde analogie con altri paesi europei. Come con Theresa May in Inghilterra nel 2017, al voto del 10-N si è arrivati per un calcolo politico – rivelatosi errato – da parte del premier in carica che con le urne sperava di rafforzare i suoi numeri in parlamento dopo che il voto del 28-A non aveva garantito a Pedro Sanchez seggi sufficienti per formare il suo II esecutivo. E, come in Italia, dopo gli insuccessi elettorali e probabilmente con colpevole ritardo, le due forze politiche progressiste hanno cercato di dare vita a un argine all’ascesa della destra.

Pedro Sanchez e Theresa May – Ap

Lo stallo alla spagnola gode però di peculiarità proprie, che affondano le radici nella relativamente giovane storia democratica del paese e nel suo processo di ritorno alla democrazia, dopo quarant’anni di dittatura, nel 1975. Con la morte di Francisco Franco il 20 novembre di 44 anni fa, inizia un percorso di ripristino delle istituzioni democratiche, interrotto con la Guerra civile scoppiata nel 1936: inizia cioè la Transición, che in Spagna ha la lettera maiuscola, essendo un periodo decisivo della storia nazionale. Anche nella teoria politica, il concetto di “transizione” si lega alla provvisorietà, sia a livello di definizione (è un cambiamento della forma di stato, un ponte che collega due regimi di segno opposto) sia temporale (è una sorta di limbo di cui spesso è complicato definire inizio e fine).

Le transizioni sono dunque per definizione processi incerti, non lineari o razionali. L’elemento emotivo emerge con forza nel momento che sancisce il passaggio da un regime politico ad un altro: il momento della resa dei conti. La Transición spagnola è definita “pactada“: alla sua base c’è un patto di recuerdo y olvido, di ricordo della tragedia della Guerra civile e di volontà di dimenticare gli orrori del passato. Le parole chiave della Transizione sono riconciliazione e pace, da leggersi in antitesi a giustizia e memoria per i crimini del passato.

Nel 1966 il segretario in esilio del Partito Comunista, Santiago Carrillo, pubblicò in Francia Despues de Franco, ¿qué?, in cui prendeva atto di come il dittatore sarebbe morto nel proprio letto e che dunque le opposizioni avrebbero dovuto unire le forze per preparare il dopo. Occorreva un “proceso de transición”, che iniziasse aprendo i canali informativi, procedesse riconoscendo le libertà sindacali, un’amnistia pacificatrice e una decentralizzazione politico-amministrativa e terminasse con il trasferimento dei poteri a un Parlamento sovrano degno di questo nome. I due principali partiti di opposizione confinati in esilio, il Pce e il Psoe, abbandonarono la lotta insurrezionale per abbracciare una nuova strategia politica: il pluripartitismo e la democrazia rappresentativa. Nacque così la Coordinacion Democratica, la principale creatura politica che comprendeva tutti i partiti dell’opposizione e con cui tutti i governi spagnoli avrebbero fatto i conti durante gli anni della transizione. Da questo compromesso storico ebbero origine gli esecutivi di Adolfo Suarez che, pur avendo un curriculum con salde credenziali franchiste, pose le basi del nuovo ordinamento democratico.

I due padri della Transición, il comunista Santiago Carrillo e il centrodemocratico Adolfo Suarez – Abc

Carrillo e Suarez sono i due protagonisti del romanzo di Javier Cercas, oltre che della Transizione che ha sancito i paradigmi politici e costituzionali all’interno dei quali si è mossa per 40 anni la Spagna. Lo stallo politico di questi anni sembra nascondere però una profonda inquietudine da parte di una società che non pare più riconoscersi nel percorso tracciato dal patto della Transición.

I partiti storici, Psoe e Partito popolare, figli degli sviluppi politici seguiti al 1975, si sono alternati per un trentennio in un bipolarismo che, a partire dall’elezione nel 1982 di Felipe González, ha definitivamente archiviato la fase della Transición. Un primo segnale è la recente affermazione di un partito di ultradestra, Vox, svincolato dalle dinamiche di inquadramento di ex franchisti all’interno del Partito Popolare – che nel 1989 ha cambiato il nome da Alianza Popular, rinnegando con più decisione il passato franchista, abbracciando posizioni più centriste e completando così la propria transizione. Il secondo fattore di instabilità del quadro politico e dell’egemonia culturale della Transición è il riemergere dei nazionalismi. La mancanza di dialogo politico che ha portato all’esplosione della “questione catalana” è esemplificativo dell’allontanamento della società spagnola dai dettami politici e culturali della fase della Transizione, sancito dal Titolo VIII della Costituzione, votata da un referendum del 1978.

In una delle sue ultime interviste in vita, Santiago Carrillo ha riconosciuto nelle proteste degli Indignados del 15-M una “seconda Transizione”. In effetti l’abbraccio di martedì tra Sanchez e Iglesias certifica l’ingresso del paese in una nuova fase politica. Podemos è emanazione diretta del movimento di proteste che ha contribuito al crollo del governo socialista di Zapatero; mentre negli ultimi anni il Psoe aveva mantenuto le distanze dal partito di Iglesias, confinandolo a ruoli minoritari o esterni nei propri esecutivi. Alla base del “miracolo della Moncloa” che in un’ora, di fronte a un caffè, ha portato all’accordo Psoe-Podemos, c’è quindi un nuovo compromesso politico. I prossimi mesi ci diranno se questa “alianza imposibile” darà i suoi frutti.

Che si tratti davvero dell’inizio di una segunda Transición per la Spagna?