L’autore di un libro è sempre, per definizione, custode di segreti.

È lui che genera quelle parole, tesse quelle righe, ordisce quelle pagine. Lo è di più se quelle storie le vive realmente sulla sua pelle. Ma l’autore, se avveduto, non fa mai pesare sul lettore questo vantaggio; lo usa sì, ma con genuina passione e grande discrezione.

Così fa Pietro Spirito, scrivendo memorie di un sottosuolo liquido e imprevedibile, che portano il lettore a spasso per la laguna di Grado. Quasi caricandolo sulle spalle, mentre esplora “in diretta” i fondali alla ricerca di relitti o, meglio ancora, di storie. Riduciamo per un attimo l’avventura a statistica «immaginando tutti i traffici marittimi (solo nel Golfo di Trieste) e il tempo trascorso dall’epoca degli antichi romani a oggi… e ipotizzando…diciamo un naufragio l’anno, potremmo azzardare che solo in questo minuscolo spicchi di Mediterraneo, in cima all’Adriatico, il fondo del mare nasconda forse duemila relitti, duemila evidenze di altrettanti passaggi dell’uomo su questa superficie d’acqua». 
Allora c’è davvero e ancora spazio per tutti, per sognare e ricordare. Non è vero ciò che diciamo, sommersi dal pessimismo, che tutto è stato fatto, che tutto è stato scoperto.

I relitti del tempo sono misteriosi. Leggendo il libro sembra che naufragi e naufraghi siano stati in passato dipinti a tinte troppo fosche: una nave affondata rompe un equilibrio, ma il relitto acquisisce valore proprio da questa trasmutazione, anzi “è il segno di questa trasformazione”. Insomma, ad un equilibrio se ne sostituisce un altro, regolato dalle leggi degli abissi marini.

Attraverso il relitto, riportato alla storia da Spirito e i suoi “naufrologi”, di cui l’autore racconta le particolari storie di vita, la nave recupera l’orientamento e la sua esistenza, torna in porto da quel mondo fluttuante e lunare con il suo carico di fantasmi. E anche loro riacquistano poco alla volta i tratti nitidi di uomini.  Straziati dall’impatto con le mine, come i passeggeri del Baron Gautsch, il 13 agosto 1914, le prime vittime civili della Grande Guerra; o dalle cannonate, come il Mercurio, brigantino del Regno Italico affondato dagli inglesi.

L’autore scrive da Trieste, e allora non possono che venire in mente i versi dell’Ulisse di Saba dove la “Brama/ pallida sognatrice di naufragi” questa volta è forse il desiderio profondo che c’è in ogni uomo di conoscere il passato, di dargli un nome e un volto, tirandolo fuori, anche con la forza, dalla memoria come si fa strappando alle acque un relitto, un tesoro sommerso. Troviamo che questa ricerca sia, prima di tutto, una forma di amore per l’uomo e la storia. Nel libro quella brama c’è davvero, e si sente.

Il libro sa anche essere imprevedibile, come ogni buon testo che si rispetti. E proprio quando siamo fermi sul pelo dell’acqua ci fa alzare la testa: anche gli aerei naufragano. Anche le fortezze volanti, i B 24 che battevano con gigantesche bombe le città italiane, partendo dall’aeroporto di Grottaglie durante la Seconda Guerra Mondiale: quella sorte toccò nell’Inverno del 1945 all’aereo pilotato dal militare americano Howard Hanson. E la storia di quel relitto, di quei corpi pazientemente cercati e pietosamente affidati alla cura dei loro cari dopo tanto tempo, riempie di emozione le pagine del volume. Questa storia prova l’autentico e incondizionato amore di scrive per i naufragi del tempo, visto il legame con il vissuto dell’autore che non vogliamo svelare. Starà al lettore interessato sondare quell’abisso.

Si perché il testo induce a pensare che il mare alla fine, democraticamente, non fa differenze. E’ una livella e ciò che resta sui fondali, accanto ai relitti della storia, sono prima di tutto uomini, le cui eventuali colpe l’acqua ha dissolto. Portano tutti un tesoro e per trovarlo occorre decifrare, con pazienza, le mappe della loro vita.

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