Mettiamo subito le cose in chiaro: chi scrive è di parte. Mi sono innamorato del Club Atlético Boca Juniors prima che delle donne: avevo 9 anni e galeotta fu una replica mattutina della Coppa Intercontinentale. Martín Palermo mi sembrò incarnare perfettamente il fenotipo dell’eroe. Nome, portamento, senso del goal, perfino i capelli avevano un che di mistico. Poi col tempo imparai a riconoscere il talento, quello vero, e le chiavi del mio cuore passarono al grande protagonista di quella serata, quel Juan Román Riquelme che – come tanti – dalla Boca salperà per tentar fortuna in Europa e alla Boca farà ritorno per chiudere la carriera. In mezzo infinite notti insonni: tante gioie e poche delusioni. Questo, almeno, fino a qualche anno fa, precisamente il 2014. Da allora il rapporto tra il Boca e il suo habitat naturale, la Copa Libertadores (per chi ancora non lo sapesse, l’equivalente sudamericano della nostra Champions League), s’è incrinato irrimediabilmente. E con esso una delle certezze incrollabili del tifoso xeneize: quella secondo cui in Copa, contro quelli là, «siempre ganamos nosotros». Vinciamo sempre.

Come tutte le massime che tendono – cantava il figlio di una città profondamente imparentata con la Boca – a «rifugiarsi nei sempre, nell’ipocrisia dei mai», anche questa lascia ovviamente il tempo che trova. Vero è però che i primi incroci tra le due squadre nella fase a eliminazione diretta della Copa avevano sorriso agli azul y oro: la squadra che batterà il Real Madrid dei Galácticos nella finale di Intercontinentale si era sbarazzata dei rivali di sempre ai quarti di Libertadores, ribaltando il 2-1 del Monumental con un monumentale 3-0 alla Bombonera. Il sigillo in pieno recupero di Palermo, in campo da appena un quarto d’ora dopo 6 mesi di stop, è tuttora ricordato alla stregua di una visione dalle parti del Caminito. Altrettanto iconica sarà, quattro anni dopo, l’esultanza dell’allora ventenne “Carlitos” Tévez, che mimerà il passo della gallina dopo aver siglato il momentaneo 1-1 nel ritorno della semifinale di Copa. Uno sfottò (gallinas sono chiamati con scherno i sostenitori della Banda) che Tévez, già ammonito, pagherà con l’espulsione: la qualificazione arriverà solo dagli undici metri ma nel cuore dei bosteros l’immagine riveste tuttora la stessa sacralità – absit iniuria verbis – di un santino della Madonna.

L’unico altro precedente in semifinale di Libertadores risale al 2004. Una partita che passerà alla storia per la sobrissima esultanza dell’Apache Carlos Tévez, in campo anche ieri notte [© Olé – Diario Deportivo]

Quelli tra il 2000 e il 2007 sono anni magici. Non tanto in patria, dove il computo delle vittorie in campionato (4) è identico a quello dei Millonarios, quanto nelle competizioni internazionali: in otto anni arrivano 4 Libertadores e 2 Sudamericane (la Coppa Uefa del continente). Il mito del Boca rey de copas in opposizione ai rivali capaci di vincere solo all’interno dei confini argentini nasce qui: i 34 titoli nazionali dell’autodefinitosi más grande de Argentina diventano quasi un vanto per i tifosi xeneizes, se paragonati ai loro successi continentali. Poi la storia fa una giravolta, si diverte a rimescolare le carte e a invertire il corso degli eventi: è il giugno 2014 quando Marcelo Gallardo si siede sulla panchina lasciata libera dal dimissionario Ramón Díaz, capace di riportare la Banda al titolo ad appena due anni dalla storica retrocessione. Da quel momento nulla sarà più come prima. O meglio, tutto sarà esattamente all’opposto di prima, con il Boca costretto a consolarsi con le vittorie in campionato per non guardare l’odiato Millo alzare coppe a ripetizione. Sempre a sue spese.

Incredibile ma vero, tutti e tre (quattro, se dovesse aggiudicarsi anche la finalissima del prossimo 23 novembre a Santiago del Cile) i successi continentali di Gallardo sono arrivati eliminando gli storici rivali lungo il percorso. Mentre in campionato il suo ruolino nel Superclásico recita 2 vittorie, 4 sconfitte e altrettanti pareggi, nelle coppe il Muñeco può vantare un ben più gratificante 4-3-1. Curioso che l’unica sconfitta sia proprio quella patita ieri sera alla Bombonera, una sconfitta tutt’altro che amara: l’1-0 firmato da Jan Hurtado, all’80° minuto di una partita vibrante come solo un Super di Copa sa essere, gli ha consegnato il pass per la terza finale di Libertadores in 5 anni, la seconda consecutiva. Niente rivincita del Bernabeu, quindi, ammesso che una “banalissima” semifinale potesse lavare l’onta della Superfinal persa a dicembre. Quando vede azul y oro, Napoleón – com’è stato soprannominato più di recente – sa fare solo una cosa: vincere. E per ora di Waterloo all’orizzonte non c’è ancora ombra.

Nome: Marcelo. Cognome: Gallardo. Soprannome: Muñeco (“bambola”). Segni particolari: specialista nell’eliminare il Boca dalle Coppe [© Reuters]